COMPENDIUM REVELATIONUM
COMPENDIO DI RIVELAZIONE DELLO INUTILE
SERVO DI IESÙ CRISTO FRATE IERONIMO
DA FERRARA DELLO ORDINE dei FRATI PREDICATORI.
(1)
Benché lungo tempo in molti modi per
ispirazione divina io abbia predette molte cose future,
nientedimeno,
(2)
considerando la sentenza del nostro
Salvatore Cristo Iesu,
che dice:
"Nolite sanctum dare
canibus nec mittatis margaritas vestras ante porcos, ne forte
conculcent eas pedibus et, conversi, dirumpant vos,"
sono sempre stato scarso nel dire, e non mi sono esteso più che
mi sia parso essere necessario alla
salute degli uomini, in modo che le conclusioni
nostre sono state poche (avvenga che molte siano
state le probazioni, esortazioni
e persuasioni a farle credere),
tenendo sempre segreto il
modo e la moltitudine delle
visioni e molte altre
rivelazioni; le quali
non ho mai detto, non essendo
io stato ispirato a dirle e non parendomi necessario alla
salute, né essendo ancora dispositi gli uomini a crederle. Ora,
costretto da necessità, mi sono
mosso a scrivere le cose future, per la maggior parte le più
principali e di maggiore
importanza, le quali
pubblicamente ho predicato, sì
perché molti, essendosi sforzati di scrivere predicando io
attualmente, non hanno raccolto
pienamente la verità ma molto discontinuamente e
etiam con molte falsità, non potendo loro correre tanto con
la penna quanto io correvo con la lingua: sì etiam
perché alcuni altri, o per non avere bene inteso o per malizia,
hanno seminato nel popolo quel che io non ho detto o diminuito
quel che io ho detto, e
etiam
alcuna volta depravato. Mi sforzerò dunque di ridurre tutto quel
che io ho detto in pubblico delle cose future in brevità,
lasciando il modo come io le ho avute e le probazione delle
Sacre Scritture le quali le
ho applicate, descrivendo però pienamente quella visione della
ottava della Annunziazione, per essere stata scritta
imperfettamente da molti e mandata in diversi luoghi. E questo
principalmente mi ha eccitato a scrivere per l'onore
di Dio: acciocché le cose sue non venghino
in derisione, per la maggior parte essendomi detto che queste
nostre cose così scorrette e piene d'errori sarebbero messe in
stampa e pubblicate per tutto; e acciocché per nessun modo elle
possino esser viziate e distorte,
le ho pubblicate così latine
come vulgari, perché così
saranno più comune a ciascuno. Pregando tutti gli
uomini e le donne che le leggeranno che, se odono dire me aver
pronunziate altre cose nel
tempo passato insino al presente giorno nel quale è stato
composto questo libretto che quelle le quali
in esso siano scritte, non le
credino, perché i nostri amici
tepidi e sapienti di questo
mondo mi hanno apposte molte cose false così dentro di
Firenze come di fuori, benché più fuori che dentro. Io so però
che ancora queste così scritte saranno diversamente
interpretate, iuxta illud Danielis XII: "Plurimi
pertransibunt et, multiplex erit identici
", idest
opinio, e da molti etiam saranno derise;
nientedimeno chi le leggerà con semplicità di cuore credo che
sarà illuminato dalla verità e
ne farà qualche buon frutto, quia scriptum est:
" Cum semplicibus sermocinatio
eius" et iterum:
(3)
" Abscondisti haec a
sapientibus et prudentibus et revelasti ea parvulis ".
Ma innanzi che io entri
nella narrazione delle cose che noi abbiamo a dire, mi pare
necessario per intelligenza di quelle dichiarare brevemente il
modo delle rivelazione profetiche, a fine che ognuno intenda
come i profeti imparano da Dio quello che essi
predicano ai popoli. Perché
dunque, come è scritto nel primo libro dei
Re al IX capitolo,
(6)
qui propheta dicitur hodie, vocabatur
olim
videns,
(7)
profeta propriamente è
chiamato
colui che vede cose lontane dalla cognizione naturale d'ogni
creatura, avvenga che il profeta ancora impari mediante
il lume della profezia cose assai le quali
non sono lontane dalla cognizione umana,
(8)
perché
quel lume si può estendere a tutte le cose così umane come
divine.
(9)
Lontane dalla cognizione naturale
d'ogni creatura sono le cose future contingenti,
per la maggior parte quelle che procedono dal libero arbitrio,
(10)
le quali
in sé medesime non possono essere conosciute né dagli
uomini né da veruna altra creatura, perché non sono
presenti se non alla eternità,
la quale abbraccia ogni tempo;
(11)
né possono essere ancora conosciute
dalla creatura razionale né etiam dalla
intellettuale nelle cause loro,
(12)
perché, essendo le cause indifferenti
a produrle e non produrle,
(13)
non può l'intelletto
creato vedere a quale
parte esse cause si inclineranno; e però tutte le arte
divinatorie sono reprobate dalle Scritture e dai
canoni, il capo delle quali è l'astrologia
iudicatoria :
(14)
perché
conoscere le cose future contingenti
è proprietà della sapienza divina, in presenza della quale è
ogni cosa preterita, presente e futura,
sicut scriptum est:
(15)
" Omnia sunt nuda et aperta oculis
eius ".
(16)
Dunque le cose future
contingenti
non si possono conoscere per alcuno lume naturale, ma solo Dio è
quello che le conosce nella eternità del suo lume, e da
lui solo le imparano quelli ai
quali lui si degna riverarle.
(17)
Nella quale rivelazione fa due cose
: una
è che infonde un lume sopranaturale
al profeta,
(18)
il quale lume è una certa
participazione della sua eternità, per la quale il profeta
giudica di quello che gli è rivelato
due cose, idest e che le sono vere e che le
sono da Dio;
(19)
ed è
di tanta efficacia questo lume, che fa il profeta così certo di
queste due cose come il lume naturale fa certi i filosofi
dei
primi principi delle scienze e come fa anche certo
ciascun uomo che due e due
fa quattro. L'altra cosa che fa Dio in questa rivelazione è che
propone distintamente al profeta quello che egli
vuole che conosca e preannunci!; e questo lo
fa in molti modi, sicut scriptum est Osée XII
capitolo:
" Locutus sum super prophetas, et ego visionem
multiplicavi, et in manu prophetarum assimilatus sum ".
Qualche volta quello che ha
da preannunciare il
profeta lui glielo infonde nell'intelletto
senza altra visione immaginaria, in quel modo che infuse la
sapienza a Salomone
: e in questo modo profetò David profeta; alcuna volta nella
immaginazione forma diverse figure e visioni
immaginarie, le quali
significano quello che ha da
intendere e da preannunciare il
profeta. E lui per il lume sopradetto intende tutta la
significazione delle predette visioni,
altrimenti non si potrebbe chiamare
profeta; onde è scritto in Daniele al X capitolo:
Intelligentia opus est in visione. E molte volte in quelle
visioni sente dentro
pronunziare diverse parole da diverse persone alla mente sua
rappresentata, le quali parole
sa,
(20)
mediante il lume sopradetto, che procedano da Dio per ministero
degli angeli. Alcune
volte Dio propone ai
sensi esteriori, massimamente agli
occhi, cose significative di quello che si ha a manifestare,
come si legge in Daniele al V capitolo della mano che scrisse
nel muro, dinanzi agli occhi di
Baltasar: Mane. Thecel. Phares; le quali
parole vide Daniel profeta con gli
occhi esteriori e interpretandole con il lume interiore.
(4)
Ed è
da notare che queste apparizioni
esteriori e etiam
immaginarie le fa Dio per il ministero angelico,
come dice santo Dionisio nel
libro " De caelesti hierarchia ",
perché ogni cosa che è da Dio è ordinata,
iuxta illud Apostoli: " Quae a Dea sunt,
ordinata sunt "; e l'ordine della sua sapienza è di disporre
le cose infime per le medie e le medie per le supreme. Essendo
dunque gli angeli mezzani tra
Dio e gli uomini,
(21)
le illuminazioni
profetiche vengono da Dio per mezzo degli angelici spiriti,
i quali non solamente
dentro illuminano e muovano la fantasia a diverse apparizioni,
ma etiam parlano dentro ai profeti, ai quali
ancora appaiono di fuori molte volte in forma umana e annunziano
loro le cose future e ammaestrandoli di molte cose che hanno a
fare; e per il lume predetto i profeti conoscono chiaramente
quelle apparizioni essere
angeliche e quello che
di cui parlano essere
vero e provenire dalla divina
sapienza. In questi tre modi abbiamo avute e conosciuto
le cose future, alcune in uno alcune in un altro; benché in
qualunque di questi modi io le abbia
avute, sempre sono stato certificato della verità per il lume
predetto.
Vedendo l'onnipotente
Dio moltiplicare i peccati dell'Italia,
per la maggior parte nei capi così ecclesiastici come secolari,
non potendo più sostenere, determinò purgare la Chiesa sua per
uno gran flagello. E perché, come è scritto in Amos profeta,
non faciet Dominus Deus verbum, nisi revelaverit
secretum suum ad servos suos prophetas, volse per la salute
dei suoi eletti, acciocché innanzi al flagello si preparassino a
soffrire, che nella Italia questo flagello fosse
preannunciato; e essendo Firenze in mezzo l'Italia
come il cuore in mezzo il corpo, s'è degnato di eleggere questa
città nella quale siano tale cose preannunciate, acciocché per
lei si sparghino negli altri luoghi, come per esperienza vediamo
esser fatto al presente.
Avendo dunque tra gli altri suoi servi
eletto me indegno e inutile a questo officio, mi fece venire a
Firenze per commissione dei
miei superiori l'anno 1489, nel quale anno cominciai a esporre
pubblicamente al popolo la
Apocalissi in Santo Marco nostro il primo dì di agosto, che fu
in domenica. E predicando tutto quell'anno
in Firenze, tre cose continuamente proposi al popolo : la prima,
che la Chiesa se doveva a rinnovare in questi tempi; la seconda,
che innanzi a questa rinnovazione Dio darebbe un grande flagello
a tutta la Italia; la terza, che queste cose accadranno presto.
E queste tre conclusioni mi sforzai sempre di provarle con
ragione probabile e figure delle Scritture e altre similitudini
ovvero parabole fondate sopra quello che si vede al presente
nella Chiesa, non dichiarando loro che io avessi queste cose per
altra via che per queste ragione, perché non mi parevono ancora
dispositi al credere. Da poi, procedendo più oltre gli anni
seguenti e vedendo migliore disposizione negli uomini al
credere, produssi qualche volta fuori alcuna visione, non
dicendo però che visione fosse,
ma proponendola per modo di parabola. Da poi, vedendo la gran
contraddizione e derisione che io avevo quasi da ogni
generazione di uomini, molte volte come pusillanime mi proponevo
di predicare altre cose che quelle; e non lo potevo fare, perché
ogni altra cosa che io leggevo o studiavo mi veniva a noia e,
quando la volevo predicare, tanto mi dispiaceva, che io
etiam venivo a noia a me medesimo. E ricordai
che la prima quadragesima che io predicai in Firenze in Santa
Reparata nel 1490, avendo già composta la predicazione della
domenica seconda, la quale pure era di tale materia, deliberai
di lasciarla e di non predicare più di tale cose. Testimone mi è
Dio di questo, che tutto il giorno del sabato e tutta la notte
vigilai, infino alla mattina della domenica, e non potetti mai
volgermi ad altro, tanto mi fu serrato ogni passo e tolta ogni
altra dottrina eccetta quella; e sentii
la mattina, essendo per la lunga vigilia molto lasso, dirmi: —
Stolto, non vedi tu che la volontà
di Dio è che tu predichi in questo
modo? —. E così quella mattina feci una spaventosa predicazione.
E sanno quelli che continuamente mi hanno udito quanto le
Scritture, le quale ho prese a esporre, siano sempre venute a
proposito di questi tempi; e tra le altre cose una ne è stata
più meravigliosa agli uomini di
grande ingegno e dottrina: che, avendo io cominciato a predicare
sopra la Genesi nel 1491 e
avendo continuato insino al 1494 per tutti gli avventi e le
quadragesime (eccetta una, nella quale predicai a Bologna) e
sempre ricominciando a quel punto del testo della
Genesi dove io avevo lasciato o l'avvento
o la quadragesima precedente e continuando sempre l'esposizione
del testo, non potè mai
raggiugnere al diluvio se non quando
cominciarono queste tribulazioni,
così che tutto l'avvento e
tutta la quadragesima del 1494 consumai nel mistero della
fabbricazione dell'arca di Noè,
e appunto lasciai le predicazioni
in quel loco dove dice la Scrittura: Cenacula et
tristega facies in ea; e di poi ricominciando a predicare di
settembre, il dì di santo Matteo apostolo, e proponendo il testo
dove io avevo lasciato, cioè Ecce ego adducam aquas
diluvii super
terrain eccetera,
sapendosi già pubblicamente che il Re di Francia con le sue genti
era entrato in Italia, subito a
queste parole della Genesi
molti, sbigottiti, constatarono questa lezione della
Genesi essere stata di mano in mano così condotta per occulto
instinto di Dio. Tra i quali
uno fu il conte Ioanni della
Mirandola, uomo di dottrina e d'ingegno nella nostra età singolare;
il quale poi mi disse che a quelle parole tutto si sentì
commuovere e arricciarsi i
capelli. Ritornando dunque al proposito nostro, dico che queste
cose future per la indisposizione del popolo le preannunciavo in
quei primi anni con le probazione delle Scritture e con ragione
e diverse similitudini. Di poi
cominciai a allargarmi e dimostrare che queste cose future io
avevo per altro lume che per sola intelligenza delle Scritture;
e di poi ancora cominciai più ad
allargarmi e a venire alle parole formate
a me ispirate dal cielo,
e tra le altre spesso replicavo queste: — Haec
dicit Dominus Deus: Gladius Domini super terram cito et
velociter —. E un'altra volta : — Haec dicit
Dominus Deus: Gaudete et exultate, iusti;
verumtamen parate animas vestras ad tentationem lectione,
meditatione et oratione: et liberabimini a morte secunda. Et
vos, o servi nequam, qui in sordibus estis, sordescite adhuc;
venter vester impleatur mero, renés vestri dissolvantur luxuria,
et manus vestrae sanguine pauperum polluantur: haec enim est
pars vestra et haec sors. Sed scitote quia corpora vestra et
animae vestrae in manu mea sunt et post breve tempus corpora
vestra flagellis conterentur,
animas autem vestrasigni perpetuo tradam
—. Le quali parole non sono
cavate dalle Sacre Scritture, come credevano alcuni, ma sono
pure nuovamente venute da cielo. E perché in una visione
ci sono molte parole, delle quali
parte ne dissi pubblicamente benché la visione celassi,
acciocché la non fosse derisa dagli increduli, mi è parso
necessario questa sola descrivere, Acciocché s'intenda cosi
in che ordine furono dette le
parole le quale pubblicamente recitai.
Vidi dunque nell'anno
1492, la notte precedente a l'ultima predicazione che io feci
quell'avvento in Santa
Reparata, una mano in cielo con
una spada, sopra la quale era scritto:
Gladius Domini super terram
cito et velociter, e sopra
la mano era scritto: Vera et insta sunt indicia
Domini; e sembrava che il braccio di quella mano procedesse
da tre facce in una luce, delle quali la prima disse: —
Iniquitas sanctuarii mei clamat
ad me de terrra —; la
seconda rispose: —
(22)
Visitabo
ergo in virga iniquitates eorum et in verberibus peccata eorum
—; la terza disse: —
Misericordiam meam non dispergam
ab eo, neque nocebo in
veritate mea,
et miserebor pauperi et inopi
—. Iterum
la prima replicò: — Oblitus est populus meus
mandatorum meorum diebus innumeris —; la seconda rispose: —
(23)
Conteram ergo et confringam et non
miserebor —; la
terza disse: — Memor ero ambulantium in praeceptis
meis —. E di poi venne una voce grande da tutte tre le facce
sopra tutto il mondo e disse: — Audite, omnes
habitatores terrae. Haec dicit Dominus: Ego Dominus loquor in
zelo sancto meo. Ecce dies venient et
gladium meum evaginabo super vos.
Convertimini ergo ad me, antequam compleatur furor meus: tunc
enim, angustia superveniente, requiretis pacem,
et non veniet — Dette
queste parole, parvemi di veder tutto il mondo
e che gli angeli discendessero
di cielo in terra vestiti di
bianco con moltitudine di stole candide in spalla e croce rosse
in mano, e andavano per il mondo proferendo a ciascun uomo una
veste bianca e una croce; alcuni uomini le accettavono e d'esse
si vestivono; alcuni altri non volevono accettarle, benché non
impedissero agli altri che le
accettavono; altri né le volevono accettare né permettevono che
gli altri le accettassino : e questi erano i
tiepidi e sapienti di questo mondo, i
quali se ne facevono beffe e si sforzavano di persuadere il
contrario. Da poi questo la mano rivolse la spada verso la
terra, e subito parve che si ranugolasse
tutto l'aere
e che piovesse spade e gragnuola con gran tuoni e saette e
fuochi; e fu in terra fatto guerra, pestilenza e carestia e gran
tribolazione. E vedevo gli angeli andare per mezzo i popoli e
dar bene d'uno chiaro vino a quelli che avevono la veste bianca
e la croce in mano; e bevevano
e dicevano: — Quam dulcia faucibus nostris eloquio,
tua, Domine! —; e la feccia che era nel fondo del calice
davano bere agli altri e non volevono bere, e sembrava che si
volessero convertire a penitenza, e non potevano, e dicevano: —
Quare oblivisceris nostri, Domine? —; e volevano
elevare gli occhi e riguardare a Dio e non erano lasciati,
gravati dalla tribolazione : perché erano come ebbri, e sembrava
che gli uscisse loro il cuore
di mezzo al petto e andava
cercando le voluttà di questo mondo, e non la
trovava; e loro camminavano come insensati, senza cuore. Fatto
questo, udi' una grandissima voce da quelle tre facce, che
disse: — Audite ergo verbum Domini: Propterea
expectavi vos, ut miserear vestri. Venite igitur ad me, quia
benignus et misericors sum, faciens misericordiam omnibus qui
invocant me.
Quod si nolueritis, avertam oculos meos a vobis in perpetuum
—. E convertissi da poi i giusti
e disse: — Vos autem gaudete, iusti, et exultate:
quia, cum pertransierit
brevis ira mea, peccatorum confringam cornua et exaltabuntur
cornua iusti —. E subito
sparí ogni cosa e mi fu detto: — Fili, si
peccatores haberent oculos, vidèrent utique quam gravis et dura
sit haec pestis et acutus gladius —. E per dura peste e
acuto coltello intendeva il governo dei
cattivi prelati e predicatori di filosofia, i
quali non entrano nel regno dei
cieli né lasciano intrarvi gli
altri: volendo dimostrare per questo che la Chiesa stava tanto
male, che gli era peggiore la guerra di costoro che non sono
tutte le tribolazione corporali
che gli possono avvenire. E però mi fu detto che io esortassi
i popoli a pregare Dio che
mandassi il timore suo in terra e rinnovassi l'amore e la
memoria di benifici della Passione del Figliuolo di Dio nei cuori
umani e che mandassi buoni pastori e predicatori, i quali
pascessero il suo gregge e non
sé medesimi.
Di poi dissi, ancora illuminato da
Dio, che passerá i monti uno a similitudine di Ciro, del quale
scrive Isaia: Haec dicit Dominus Christo meo Cyro,
cuis apprehendi dexteram, ut subiciam
ante faciem eius génies et dorsa regum vertam, et aperiam coram
eo ianuas, et portae non claudentur. Ego anteibo et gloriosos
terrae humiliabo, portas aereas conteram et vectes ferreos
confringam. Et dabo tibi thesauros absconditos et arcana
secretorum, ut scias quia ego Dominus, qui voco nomen tuum, Deus
Israël, propter servum meum Iacob
et Israël electum meum. E
dissi che l'Italia non si
confidasse né in rocche né in fortezze, perché lui le
piglierebbbe con le meluzze, idest senza
difficultà. Dissi ai Fiorentini
(intendendo io massimamente di quelli che governavano a quel
tempo) che loro piglierebbero
il consiglio al contrario, idest che
s'accosterebbono con quello che doveva esser perdente; dissi che
sembrebbero come ebbri e che
perderebbero ogni consiglio. Le
quale cose loro non credevano etiam quando cominciavono
ad approssimarsi e io dicevo che la sapienza umana li
ingannerebbe. Io lascio stare le cose particolari,
le quali non dissi in pubblico
per non generare scandalo, ma
io le dissi a certi miei familiari, come fu il tempo determinato
della morte di Innocenzio Vili e di Lorenzo dei Medici e la rivoluzione
del stato di Firenze, la quale dissi che sarebbe quando il Re di
Francia sarebbe in Pisa; e simile altre cose particolari,
le quali, perché io non dissi
in pubblico, forse non sarebbero
state credute
che io le avessi dette, scrivendole al presente.
Appropinquandosi poi il Re di Francia e la rivoluzione
dello stato fiorentino, benché
io avessi visto sopra della città di Firenze la spada e molto
sangue sparso, pur,
considerando che Dio la doveva
eletta a udir pronunziare tutte queste cose, mi venne grande
speranza che questa profezia fosse condizionata e che, se loro
facevano penitenza, Dio gli avrebbe
perdonato
almeno in parte. E il primo dì di novembre, idest
il dì di Ogni Santi con i due
dì seguenti, come sa tutto il popolo, tanto esclamai in pergamo
che quasi io mi infermai; e feci imporre digiuni per tutta la
terra a pane e acqua e fare molte orazioni,
spesso esclamando forte queste parole, le quale vengono da quella
medesima fonte che l'altre
dette di sopra, videlicet: — O
Italia, propter peccata tua venient tibi adversa. O Florentin,
propter peccata tua venient tibi adversa. O clerica, propter te
orta est haec
tempestas —, dicendo e
replicando che l'Italia
andrebbe sottosopra, e specialmente
la città di Roma, esclamando etiam e dicendo: —
O nobiles, o sapientes, o plebei, manus Domini
valida super vos, cui nec potentia nec sapientia nec fuga
resistere poterit. Propterea expectavit vos Dominus, ut
misereatur vestri. Convertimini ergo ad Dominum Deum vestrum in
toto corde
vestro, quia benignus et misericors est. Quod si nolueritis,
avertei oculos suos a vobis in per-petuum
— Da poi venendo il cristianissimo Re di Francia, fui pregato dai
Signori fiorentini che io dovessi andare per loro alla sua
Maestà ambasciatore insieme con alcuni altri cittadini; e io con
i nostri padri e altri cittadini consigliandomi se
dovevo andare, da tutti
unanimiter fui consigliato che io andassi. Essendo dunque
non tanto da loro e dalla città quanto più dalla carità
costretto, accettai; e andai con i
predetti ambasciatori nostri compagni
e, presentatici da lui in Pisa,
parlai alla sua Maestà come da Dio fui illuminato, cioè in
questa forma: — Lo onnipotente
Dio, nella mano del quale è ogni potestate e ogni regno,
cristianissimo Re e ministro magno della divina giustizia,
distribuisce e comunica la infinita sua bontade
alle sue creature per due vie,
cioè per la via della misericordia e per la via della giustizia:
per via della misericordia traendo a sé e convertendo al suo
amore la creatura, per via della giustizia molte volte
scacciandola da sé per i suoi demeriti. Le quale due vie sono
però tanto unite, che in tutte le opere e creature sua si
trovano sempre insieme, sicut scriptum est: "
Universae viae Domini misericordia et veritas
"'. Ai dannati fa giustizia, perché gli punisce dai
loro peccati; fa etiam misericordia, perché gli
punisce citra il condigno, cioè anche se non
meritano. Ai beati fa misericordia, perché da a loro gloria
maggiore che non meritavano le operazione e le
loro fatiche; fa ancora giustizia,
perché da a loro della sua gloria più e meno, secondo che più e
meno si sono affaticati. E perché il mezzo participa della
natura degli estremi, quello che abbiamo detto dei
dannati e dei beati si può
facilmente comprendere nelle altre creature, cioè che la
misericordia e la giustizia sempre vanno insieme, benché abbiano
diverse condizione e diversi effetti: perocché alla misericordia
appartiene pazientemente tollerare i peccati, lungamente
aspettare e ai
peccatori a penitenza, soavemente
chiamarli e a sé tirargli, dolcemente, poi quando
sono venuti, abbracciarli,
clementemente perdonarli, benignamente giustificarli,
largamente magnificarli nella sua grazia e copiosamente
glorificarli nelle infinite ricchezze della sua gloria. Alla
giustizia appartiene, poi che pazientemente ha tollerato il
peccatore e lungamente aspettato
e soavemente molte volte chiamato, non avendo voluto venire,
privarlo della sua grazia, togliergli
le virtu, sottrargli la sua
luce, ottenebrargli lo intelletto, lasciarlo cadere in ogni
precipizio di peccati, fargli cooperare ogni cosa in male e
finalmente punirlo nel supplizio
dell'inferno senza fine. Avendo
dunque la immensa bontà di Dio amatrice degli uomini
pazientissimamente tollerati i gravi peccati dell'Italia
e lungamente già tanti anni aspettatola
a penitenza e soavemente innumerevoli
volte per molti suoi servi chiamatola e non avendo lei voluto
aprire le orecchie né conoscere la voce del suo pastore né far
penitenza dei suoi peccati, anzi convertendo la pazienza di Dio
in superbia e moltiplicando
ogni dì più le offese e aggravando i suoi peccati, non
conoscendo né curando dei
benifici di Dio, anzi sprezzando il battesimo e il
sangue di Cristo e facendo
faccia di meretrice e la fronte dura come diamante,
ha deliberato il magno e onnipotente Dio procedere oramai contro
di lei per la via della giustizia. E perché, come abbiamo detto,
la misericordia e la giustizia sempre sono unite in tutte le
opere divine, tanta è stata la sua bontà, che per fare al popolo
suo giustizia con misericordia, manifestò a uno suo inutile
servo tra gli altri questo sacramento, cioè che intendeva
riformare la Chiesa sua mediante un grande flagello; il quale
sacramento questo servo inutile, per ispirazione e comandamento
di Dio, già sono passati quattro anni cominciò a predicare nella
città di Firenze. Nel quale tempo non ha mai fatto altro che
gridare per condurre gli uomini a penitenza. Testimone di questo
è tutta la città, testimone i nobili e testimone gli ignobili,
uomini e donne, piccoli e grandi, cittadini e contadini; tra
i quali pochi credevano, altri
non credevano, altri se ne facevano beffe. Ma Dio, che non può
mentire, ha voluto verificare le sue parole e ha fatto venire
ogni cosa appunto come lui fece preannunciare insino a questa
ora presente, acciocché gli uomini intendino
che quello che non è ancora venuto ed
è stato preannunciato verrà senza dubbio in quel modo che è
stato detto; e di questo ancora ne son testimone tutti quelli
che abbiamo nominati di sopra. E benché il servo inutile non
nominasse mai la tua Corona, non essendo la volontà
di Dio che ancora lei fosse nominata,
nientedimeno essa era quella la quale lui nel suo predicare
intendeva e latentemente accennava e la quale finalmente si
espettava. Itaque tandem advenisti, o Rex; advenisti,
minister Dei; advenisti, minister iustitiae.
Dico che finalmente tu sei
venuto, o Re; tu sei venuto, ministro di Dio; tu sei
venuto, ministro della giustizia: tu sia sempre il benvenuto.
Noi ti riceviamo col cuor
giocondo e con la faccia lieta
: la tua venuta ha allietato
i nostri cuori,
ha esilarato le mente nostre,
ha fatto rallegrare tutti i servi di Cristo e tutti quelli che
amano la giustizia e desiderano di ben
vivere: perché sperano che Dio per te
abbasserà la superbia dei superbi, esalterà la umiltà degli
umili, prosternerài vizi, esalterà le virtù, radrizzerà le cose
torte, rinnoverà le antiche e
riformerà tutto quello che é
deforme. Vieni dunque lieto, sicuro e trionfante, poiché Colui
ti manda, che per nostra salute
trionfò
sul legno della croce. Nientedimeno, o
Re cristianissimo, attentamente ascolta le parole mie e legatele
al cuore : il servo inutile, al quale è stato rivelato questo
sacramento da parte di Dio, idest della
Santissima Trinità, Padre Figliuolo e Spirito Santo, e del
nostro Salvatore Iesù Cristo, vero Dio, Figliuol di Dio, vero
uomo, Re dei re e Signor dei signori, e di tutta la corte
celestiale, te, da lui mandato,
esorta e ammonisce che, a similitudine sua, tu faccia in ogni
luogo misericordia, per la maggior parte nella sua città di
Firenze, nella quale benché siano molti i
peccati, ha però in lei molti servi e
serve così nel seculo come nella religione, per i quali tu
dovresti riguardare la città acciocché più quietamente possine
pregare per te e aiutarti in questa tua spedizione. Da parte di
Dio ti esorta e ti ammonisce il servo inutile che con ogni
diligenzia tu riguardi e difenda la innocenza, le vedove e
i pupilli e le miserabili
persone, e massimamente la pudicizia praesertim
dei monasteri! delle spose di
Cristo, acciocché per te non si moltiplichino i peccati, i quali
moltiplicandosi
debiliteranno le forze della
gran potenza che lui ti ha data. Da parte di Dio ti esorta e ti
ammonisce a perdonare le offese, cioè che se dal popolo
fiorentino o da altri popoli tu sei
stato offeso, volentieri tu inclini
l'animo a perdonare, perché
ignorantemente hanno peccato, non sapendo te esser mandato da
Dio: ricordati del tuo Salvatore, il quale, pendendo in croce,
perdonò ai suoi crocifissori.
Le quale cose se tu, o Re, farai, Dio dilaterà il tuo regno
temporale e ti darà vittoria in ogni luogo, e finalmente ti darà
il regno perpetuo, qui solus beatus est et potens, Rex regum et
Dominus dominantium, qui solus habet
immortalitatem et lucern habitat inaccessibìlem, quam nullus
hominum vidit sed nec
videre potest, cui est honor et imperium per infinita saecula
saeculorum. Amen —.
Di poi esposi la ambasciata del popolo
fiorentino, la quale non è necessario scrivere in questo luogo.
In questo tempo si rivolse lo
stato di Firenze e, ritornati noi alla città,
iterum cominciai a predicare che s'attendesse
alle orazioni e a perseverare
in penitenza; per la quale ogni uomo è testimone
che la misericordia di Dio ha liberato il popolo fiorentino da
grandissimi pericoli.
Di poi seguitando le predicazione,
dissi che i Fiorentini dovevano
ancora a passare molte acque e che avrebbero
dell'altre tribulazioni,
e che la Italia, e specialmente
Roma, andranno sottosopra (non dicendo però mai né da chi né
quando né in che modo), e che i prelati della Chiesa e i
principi dell'Italia non hanno
altro rimedio che la penitenza, e che questo è solo e unico
rimedio; e non varrà loro avere denari assai e soldati e roccaforti,
perché quando bene avessino ducati senza fine e soldati
fortissimi senza numero e le mura di ferro e le rocche di
diamanti, non gioverà loro
nulla, anzi fuggiranno come femminucce, perché Dio gli acciecherà
e li priverà di forza e di
consiglio, come è scritto in Iob: Adducit
consiliarios in stultum finem et indices in stuporem. Balteum
regum dissolvit et praecingit fune renés eorum. E dissi che
uno barbiere non potria radere tutta la Italia e che ne verranno
degli altri: e così sarà senza dubbio; dicendo
etiam molte altre cose, le quale non sono fuori della
sentenza delle precedenti, dato
che alcuna volta mutassi le parole, eccetto questo, che io
preannunciai la conversione degli infedeli, cioè dei Turchi e
dei Mori, che ella doveva a essere in questo tempo, dicendo
così: — Sunt multi de hic
stantibus, qui haec videbunt —. E di questo fui illuminato
grande tempo innanzi. Onde nel 1492, predicando in Santo Lorenzo
in Firenze la quadragesima, vidi la notte del venere santo due
croci: prima una nera in mezzo
Roma, il capo della quale toccava il cielo
e estendeva le braccia per tutta la terra, sopra la quale erano
scritte queste parole : Crux irae Dei. La quale
poi che ebbi vista, subito vidi conturbare il tempo e volare
nugoli per aria, trarre venti e folguri
e saette, e piovere gragnuola, fuochi e spade, e ammazzare
grande moltitudine di gente,
così che pochi rimasero in
terra; e dopo questo venne un tempo molto sereno e chiaro, e
vidi un'altra croce di oro della grandezza della prima sopra
Jérusalem, la quale era tanto risplendente che illuminava
tutto il mondo e facevalo tutto fiorire e rallegrare; e sopra di
lei era scritto: Crux misericordiae Dei. E
vedevo tutte le generazioni
degli uomini e delle donne da tutte le
parti
del mondo venire ad adorarla e
abbracciarla. E a questo medesimo proposito molte altre visione
ho avuto molto più chiare di questa, così come anche di molte
altre cose che io ho predette, per la maggior parte della
rivoluzione della Chiesa e del flagello, sono stato confermato
per molte visioni e certissime
illuminazioni avute in diversi
tempi. E dissi ancora che la città di Firenze si doveva a
riformare e che questo era la volontà
di Dio e che bisognava che così
facessino, e che facendolo lei sarebbe più gloriosa, più potente
e più ricca che la fosse mai. E che questo fosse la volontà
di Dio
lo dimostra
gli effetti: perché in tanta contraddizione, parendo a ogni uomo
cosa molto estranea, si fece la riforma della città e quel che
per opinione di tutti gli uomini era giudicato impossibile; la
quale contraddizione fece differire la pace universale e fece
smarrire le grazie promesse; la quale cosa fu poi cagione di
tante orazioni, per le quali
finalmente fu detta pace universale condotta e l'appello
dalle sei fave, da me esortato per sicurtà maggiore dei
cittadini e fermezza della città di Firenze, ordinato e
statuito. E così poi, crescendo la speranza, feci fare molte
orazioni per riavere da Dio le grazie promesse
ai Fiorentini, come apparirà nella predicazione fatta il dì
della ottava della Annunziazione, la quale abbiamo descritta qui
di sotto in questa forma come ella fu predicata.
Benedictus Deus et Pater
Domini nostri Iesu Christi,
Pater misericordiarum et Deus totius consolationis, qui
consolatur nos in omni tribulatione nostra, ut possimus et ipsi
consolari eos qui in omni pressura sunt, per exhortationem qua
exhortamur et ipsi a Deo.
La fede
viva con la orazione continua e pazienza longanime, dilettissimi
in Cristo Iesù, è di tanto merito appresso Dio, che non è cosa
così grande che non impetri da lui; e questo non
solum prova l'autorità del Nuovo e Vecchio Testamento, non
solum la esperienza degli antichi padri nostri,
ma etiam noi in questi tempi pericolosi lo
abbiamo provato e toccato con
mano molte volte, essendo noi con queste tre armi
stati liberati miracolosamente
più volte da grandissimi pericoli venuti sopra la nostra città
fiorentina e sopra tutto il popolo suo e avendo ottenuta la
riformazione e pace d'essa città e molte altre cose contro la
opinione della sapienza umana e quasi di tutti gli uomini, per
la maggior parte avendo noi avuta tanta contraddizione; e certo
meritamente queste tre virtù accompagnate insieme sono degne di
essere esaudite da Dio in cose grandi
ed eccedente il corso comune
delle altre fatte da lui. Primo perché, essendo la fede una
virtù la quale estende e firma lo intelletto nelle cose
altissime che non si possono provare per ragione naturale e tra
le altre virtù essendo lei peculiarmente insita
alla onnipotenza divina, la quale poter fare ogni cosa essa lede
non dubita, e lasciando l'uomo fedele non solum
per questa fede il senso e la immaginazione ma
etiam la ragione naturale e credendo semplicemente
a Dio, merita appresso la bontà
sua di impetrare cose grandi
fuori del corso naturale e che eccedono ogni potenza creata e
ogni senso e immaginazione e sapienza umana; secondo, perché,
essendo Dio primo motore e delle cose spirituali
e delle corporali, ogni nostra
cogitazione e buona volontà è
prima mossa da lui che da noi, dicendo l'Apostolo:
Non sumus sufficientes cogitare aliquid a nobis,
tamquam ex nobis. Con cio
sia dunque che ogni causa naturale e
ogni motore desideri di perdurre al fine, al quale ha ordinato e
muove, il suo effetto, molto maggiormente Dio, il quale è causa
delle cause e sommamente buono,
muovendo gli animi dei giusti
a desiderare sperare e chiedere cose grandi
alla sua Maestà, per la maggior parte appartenente alla comune
salute della Chiesa, iuxta illud "
Spiritus postulat pro nobis gemitibus inenarrabilibus ",
condurrà questo loro desiderio speranza e petizione al
desiderato fine. E però non è da maravigliarsi se la fede con la
continuata orazione impetra cose grandi,
avendo per la maggior parte Dio tante volte e con tanta fermezza
promesso nelle sue Scritture di
esaudire le nostre petizioni e
esortateci a orare insino alla
importunità. Praeterea essendo la tristezza
nelle tribulazioni causa di molti mali (come è di ira, odio,
sdegni e d'altre ingiustizie), la pazienza, removendo da l'uomo
questa tristezza o almeno mitigandola per amor di Cristo, rimuove
dall'uomo paziente molti peccati e confermalo
nelle virtù; onde è scritto: Patientia opus
perfectum habet;
e però l'uomo, tollerando pazientemente le avversità di questo
mondo per amor suo, merita d'esser
consolato e di impetrare da Dio ogni
suo desiderio; onde dice lo Apostolo: Tributatici
patientiam operatur, patientia autem probationem, probatio vero
spem, spes autem non confundit, quia caritas Dei diffusa est in
cordibus nostris per Spiritimi Sanctum, qui datus est nobis.
Nessuno dunque si maravigli se noi, in tante avversità essendo
stati pazienti e avendo fatte continue orazioni con viva fede,
abbiamo impetrato da Colui che è buono non per dono accidentale
ma per propria essenza cose grandi,
le quale eccedono il corso comune di questa nostra età. Le quali
cose per ordine narreremo alle carità vostre, pregando quelle
che, esclusa ogni sapienza umana, con la semplicità degli
orecchi della fede siano attenti
alle parole nostre.
Vedendo io appropinquiare,
dilettissimi, la mutazione dello stato e governo della vostra
città e considerando che non poteva essere senza scandalo
e grande effusione di sangue, se la misericordia di Dio non si
interponeva mediante la penitenza, digiuni e orazioni dei buoni,
deliberai, ispirato da Dio, di cominciare a predicare ed
esortare il popolo a penitenza, acciocché conseguitassi da Dio
misericordia; e il dì di santo Matteo apostolo, cioè addì
21 di settembre 1494, cominciai e con quante forze mi dette Dio
esortai il popolo a confessarsi e digiunare e orare; le quali
cose avendo fatte volentieri, la bontà di Dio commutò la
giustizia in misericordia; e addì
9 di novembre muto' lo
stato e governo miracolosamente
senza sangue e senza alcuno altro scandalo
nella città. Avendo dunque tu, popolo fiorentino, a pigliare
nuovo governo, ti convocai,
escluse le donne, nella Chiesa Maggiore, presenti i Magnifici
Signori e gli altri magistrati della tua città, e, da poi molte
cose dette del buon governo delle città secondo la dottrina dei
filosofi e dei sacri teologi, ti dimostrai
quale era il governo naturale del popolo fiorentino; e di poi,
continuando le predicazione, ti proposi quattro cose le quali
dovevi fare. La prima, temere Dio, la seconda, amare il bene
comune della città e quello di
cercare più che il proprio; terzo, fare pace universale tra te e
quelli che ti avevano governato per il passato, aggiungendo a
questo lo appello dalle sei fave, acciocché nessuno per questo
mezzo potesse mai più farsi
capo della tua città; quarto, esortai a fare un Consiglio grande
e generale al modo Veneziano,
acciocché i beneficii della città fossero riconosciuti da tutto
il popolo e non da alcuno particolari tuo privato cittadino,
acciocché per questo mezzo nessuno si potessi far grande. Le
quale quattro cose dissi esser la volontà
di Dio, il quale voleva che da indi
innanzi il popolo fiorentino si reggesse
in questo modo; e dissi che nessuno
potrebbe resistere a questa sua voontà, perché lui farebbe le
fave bianche diventare nere, cioè che muterebbe i cuori di
coloro che contraddicevano e
avevano deliberato di dare nei
partiti le fave bianche e farebbele loro dare nere. E così fu,
come manifestamente si sa e come molti di quelli che contraddicevano
pubblicamente hanno confessato. E non solamente per autorità
della volontà di Dio persuasi
al popolo queste quattro cose, ma etiam le
provai tutte con potente ragione, demonstrandoti a te non essere
utile altro governo che questo e
promettendoti da parte di Dio, se tu lo
facevi, che la tua città sarebbe gloriosa più che mai così nel
governo spirituale come nel temporale, e più potente e più
ricca. Ma per la incredulità e stoltezza e malizia di molti, i
quali, essendo già fatto il Consiglio Grande, non vollero
consentire ma contradissero
alla pace universale e all'appello
dalle sei fave, lo onnipotente e magno
Dio si adirò e ritrasse a sé la
mano in tal modo, che io dubitai che le promesse
fatte a te, Firenze, non fossero state revocate. Pure,
considerando la grande bontà di Dio, moltiplicammo le orazioni
e digiuni e, da poi alquanto tempo, come è detto di sopra, non
senza grande maraviglia d'ogni uomo, fu fatta la pace e insieme
dato l'appello alle sei fave.
La quale cosa io vedendo, pensai che le promesse fatte fussino
piuttosto smarrite che perse e però, provocando voi alle orazioni,
promisi d'essere ambasciatore al magno Dio per revocare le
grazie promesse; e finaliter, continuando le
orazione e digiuni, il dì della Annunziazione, il quale a voi è
principio dell'anno, parendomi presunzione andare immediate al
trono di quella infinita Maestà, sub qua curvantur
qui portant orbem, mi presentai alla gloriosa Vergine e
Madre di Dio, pregandola che si degnasse per il gaudio di questo
giorno di essere nostra avvocata appresso alla Santissima
Trinità; e lei graziosissimamente accettò. E questa buona
novella in quel giorno ti portai in Santo Marco nostro
predicando; e di poi, perseverando noi nelle orazione in quella
ottava, ti dissi che io avevo inteso che l'ottavo
giorno della festa aremmo buona risposta, esortandovi a dare
perfezione alle orazioni e al
ben vivere, acciocché questa promessa
fosse piena di ogni grazia. Dunque la notte della ottava,
preparandomi io per andare a torre la risposta delle promesse,
considerai che mi bisognava aver decente compagnia e congrui
vestimenti; e pensando quale dovesse esser la mia compagnia, mi
si presentorono dinanzi agli
occhi molte donne, tra le quali
prima si offriva la Filosofia, dicendo che bisognava avere molta
sapienza, volendo io andare ambasciatore in così alto loco; e
similmente la Retorica si offriva, dicendo che quivi bisognava
avere grande eloquenzia. Ma io risposi a loro e a tutte le
sapienze umane che, cominciando il conoscimento loro dal senso,
non si estendeva la loro cognizione oltre alle cose sensibile,
per le quali, se vengono in
qualche cognizione di Dio, è così poca che è quasi nulla, perché
è coperta di tre veli: cioè degli accidenti, per i quali vengono
in cognizione della sostanza
corporale; la quale è il secondo velo, perocché per essa,
imperfettamente conosciuta dallo intelletto nostro, si viene in
cognizione della anima e delle cose spirituale; le quali
sono il terzo velo, perocché per esse, molto più imperfettamente
conosciute che le corporali, l'intelletto
nostro si sforza di venire in cognizione di Dio, il quale eccede
tutte queste cose in infinito. E però la cognizione di Dio per
via naturale è molto debole, ma
quella degli beati, i quali
li conoscono a faccia a faccia
e per lui conoscono tutte le altre creature, per contrario alla
filosofia è cognizione perfetta
e senza paragone molto maggiore
di questa. Tra queste due cognizioni
quella della fede è media, così che lei è maggiore che non è la
cognizione della filosofia naturale e minore di quella dei
beati; e perché noi parliamo e nominiamo le cose in quel modo
che noi le conosciamo, per questo la filosofia e la retorica,
trovate da lume naturale della ragione, sarebbero
troppo basse e troppo puerile appresso la Maestà di Dio e dei
beati. E però io esclusi la Filosofia e la Retorica e tutte le
altre sapienze umane come insufficienti
a questa nostra ambasceria, e elessi la Semplicità della fede e
della sapienza e eloquenzia delle Sacre Scritture, vestendomi
dentro e di fuori, quanto a me fu possibile, di semplicità e
purità di vita e di semplicità e purità di credere, di
intendere, di parlare, di andare, di guardare e di vestimenti
esteriori, diligentemente ruminando il detto di Salomone, il
quale dice : Qui ambulai sempliciter, ambulai
confidenter. Et cum semplicibus sermocinatio eius.
Accompagnato dunque dalla Semplicità, condussi ancora la Fede,
la Orazione e la Pazienza, e mettemmoci in cammino per andare
alla porta del Paradiso, avendo madonna Semplicità in mano uno
bellissimo dono e prezioso coperto da presentare alla Maestà del
nostro Signore, il mistero del quale dichiareremo di sotto.
Essendo dunque noi in cammino, ecco
venire il Tentatore della umana natura in forma d'un eremita
vecchio barbuto, e mi s'accosta; e poi che mi ebbe salutato,
disse: — Figliuolo mio, io sono, in questo eremo appresso al
quale tu passi, stato in penitenza
lungo tempo e al presente m'è stato
rivelato dallo Spirito Santo il frutto delle tue predicazione e
la tua retta intenzione verso Dio e la salute delle anime;
nientedimeno ancora mi è stato manifestato che per semplicità tu
erri, perché, volendo tu ridurre il popolo
dai vizi alle virtù, gli hai
predetto molte tribulazioni e
promesso molti beni simulatamente: e questo non si deve fare,
perocché Dio è verità e vuole che i suoi predicatori siano tutti
pieni di verità —. Al quale io risposi e dissi: — Padre, io mi
maraviglio di quello che voi al presente mi dite, perché
lo Spirito Santo non rivela
se non la verità, e questo che voi dite è falso, perché io so
che mai non ho usata tale simulazione; né sono così ignorante,
che io non sappia che a Dio piace sommamente la semplicità,
essendo lui sommamente semplice
di natura, e dispiacegli ogni duplicità, perché la duplicità o
in detto o in fatto è bugia; unde è scritto: Perdes
omnia qui loquuntur mendacium; et non sunt facienda mala ut
veniant bona. per la maggior parte dicendo comunemente
ai dottori che la bugia detta
dal predicatore in pergamo di
industria è peccato mortale. E però non può stare insieme che
mediante queste bugie io abbia fatto frutto nelle predicazione.
Il frutto dunque dimostra che in me non è stata simulazione; e
così protesto e ho protestato dinanzi a tutto il popolo e
giurato contro alla anima mia, se mai usai simulazione nel
predicar mio, che Dio mi privassi del paradiso. Sicché, padre,
questa vostra ispirazione non può essere venuta dal Spirito
Santo —.
Allora lui disse: — Se dunque tu non
simuli, preannunciando tu cose inusitate e inaudite, pare ad
alcuni che questo proceda da spirito di melanconia, il quale ti
fa pensare e parlare in questo modo, ovvero che proceda da tuoi
sogni o forte immaginazione —. Io risposi e dissi: — Padre, io
non sento nel cuore mio tale spirito, ma bene somma letizia; e
sento in me un lume e una rappresentazione
di fantasmi i quali so che non
sono naturali, perché, avendo io molto tempo studiato in
filosofia, intendo quanto si estende il lume naturale della
ragione e la forza della fantasia e so che la non si estende a
quel che intendo io, e per la maggior parte per le cose future
contingenti: e per l'ordine
grande, il quale ho sempre servato nel nostro dire, e per la
cognizione delle Scritture, le quale ho esposte sempre a
proposito dei presenti tempi, non depravandole né tirandole per
forza, anzi senza alcuna dissonanza, come sanno coloro che mi
hanno udito; le quale cose ogni mediocre ingegno sa che non
possano procedere da spirito melanconico né da sogni o forte
immaginazione —.
Lui, replicando, disse: — Dunque
questo deve essere perché tu sei nato sotto qualche
constellazione la quale ti inclina a questo, e la influenzia di
qualche pianeta o di qualche stella fissa ti fa pensare e
parlare e indivinare molte cose future —. Risposegli allora: —
Padre, questa è cosa da stolti a credere, che la influenzia del
cielo facci conoscere le cose contingenti
future, dicendo il Filosofo : " De futuris
contingentibus non est determinata veritas ",
et quod de talibus
non est scientia neque
ars; onde nessuno dotto filosofo si trova che abbi seguitata
questa astrologia divinatoria, né greco né latino, né antico né
moderno, benché alcuni alleghino Alberto Magno in alcuni libri,
i quali sono stati composti da altri e per dare loro autorità
attribuiti a lui. E se diligentemente considererete questa arte
(se arte però si può chiamare), intenderete che non ha
fondamento alcuno e non prova cosa che la dica, e piuttosto mi
parrebbe leggere favole da semplici
vecchierelle che cose di scienza, perché così facilmente si
possono negare da ogni uomo, come loro le affermono senza
ragione. E quando non fosse il tempo tanto breve, vi mosterei
che questa superstizione è cosa da sciocchi e non da uomini ingegnosi;
ma al presente vi può bastare questo, essendo noi cristiani, che
ella è dannata dalle Scritture Sacre in molti luoghi: e, tra gli
altri, in Esaia al XLVII capitolo dice lo
Spirito Santo contro a Babilonia : " Sapientia tua
et scientia tua haec decepit te ", et fra:
" Stent et salvent te augures caeli,
qui contemplabantur sidera et supputabant menses, ut ex eis
annuntiarent ventura tibi. Ecce facti sunt quasi stipula, ignis
combussit eos, non liberabunt animarti suam de manu flammae";
e in Ieremia al X capitolo:
Iuxta vias gentium
nolite discere, et a signis caeli
nolite metuere, quae gentes timent: quia leges populorum vanae
sunt. E breviter la Sacra Scrittura
dimostra che conoscere le cose future contingenti
è proprietà divina: e però solo Dio le conosce, e quelli ai
quali lui si degna riverarle; onde dice Esaia al XLI capitolo:
Annientiate quae
ventura sunt in futurum
et sciemus quia dit estis vos. E però quelli che seguitano
queste superstizione divinatorie peccano gravemente, usurpandosi
la proprietà divina falsamente; e però tutti i dottori santi
reprobano questa arte, e similmente
tutti i canoni. Et ideo questi che seguitano
questa astrologia divinatoria non solum sono
uomini stolti e di poco ingegno e di manco giudizio,
ma etiam sono cattivi cristiani. Praeterea il
cielo non opera se non mediante le cause inferiori,
secondo la disposizione della materia: onde non è in sua
potestate generare una vite del seme dall'ulivo.
E pertanto, dato che il cielo abbia influenzia sopra la parte
sensitiva dell'uomo, non può
però disporla ad altri fantasmi che a quelli i quali patisce
tale natura; e io, padre, conoscendo già ab
antico la natura mia, conosco nella parte sensitiva cose molto
più alte che quelle che può fare la natura.
Praeterea il cielo non può operare immediate nello
intelletto, quia corporeum non agit in incorporeum,
e però non può la stella fissa darmi il lume il quale io sento
in me oltra il lume naturale. Praeterea il
cielo e la natura non fanno le cose della arte, onde la natura
non fa veste né case né altre simili
cose. Cum sit ergo che le voce significative e
l'ordine delle parole e delle frasi siano cose le quale
appartengono all'arte e alla ragione, avendole io molte volte
udite dentro e di fuori così vulgare come latine, non possono
procedere né dal cielo né dalla natura —.
Disse allora il Tentatore: —
Potrebbe dunque essere questo per virtù diabolica, perché il
demonio è potente a fare le
cose dell'arte e qualche cosa
sopra la natura corporea; e però tu devi
essere ingannato dal diavolo —. — Padre, — dissi — io ho lette
le Scritture dal principio insino alla fine e le vite dei santi
passati e le loro dottrine, per le quale ho inteso
sufficientemente tutte le condizioni
delle apparizione diaboliche e
etiam divine; e non solamente per dottrina, ma
etiam per esperienza conosco
quanta differenza è tra l'una e
l'altra apparizione; e ho provato già lungo tempo queste nostre
visioni non potrebbe
essere per alcun modo del demonio, per la maggior parte che le
cose che io intendo e che io preannuncio sono a me tanto certe
come ai filosofi sono certi i
primi principi de le scienze, anzi sono più certo assai di loro.
E questo lume per nessuno modo può procedere dal demonio.
Praeterea il demonio non può conoscere le cose
future contingenti e io quel
che ho detto e conosciuto delle cose future già molti anni, l'ho
visto e veggo continuamente venire a punto a punto come lo ho
conosciuto, così che non ne sbaglio
uno iota, né mai mi sono trovato ingannato in cosa alcuna,
quantunque minima; praeterea il demonio è
nemico delle virtù, e però non dobbiamo credere che lui, vedendo
uscire tanto frutto di queste predicazioni,
non si fosse ritratto o non mi avessi ingannato espressamente,
acciocché gli uomini non mi credessino e che in questo modo
perdessero la fede che hanno in
me e in tutti gli altri predicatori; praeterea
nella città di Firenze, dove io ho predicato tanto tempo, tutti
o quasi tutti gli uomini e donne che vivono bene seguitano
questa dottrina e i cattivi, i
quali espressamente si sa che non vivono da cristiani,
la perseguitano e si sono ingegnati in molti modi e con molte
sottilità di pervertire gli uomini buoni e di infamarci, e anche
di toglierci la vita: e
nientedimeno questa dottrina è sempre cresciuta e sempre ha
fatto più frutto, in tanto che continuamente si vede crescere il
numero dei nostri discepoli e diminuire il numero degli
avversarii e affermarsi
più ogni ora le opere nostre e le opere degli avversarii
debilitarsi e rumare affatto. Sicché, padre, questa non è
dottrina né opera diabolica, ma di Cristo, il quale in tante
avversità volse aumentare sempre la sua dottrina e le sua opere
—.
Disse il Tentatore: — Figliuol mio, tu
potrai dire come tu vuoi, che io non credo che Cristo abbi mai
parlato a uomo del mondo da poi che lui ascese in cielo —. — O
padre, — dissi io — questo è un grande errore contrario alle
Sacre Scritture, perché in molti luoghi si trova come, da poi la
sua ascensione, egli apparse a molti e, tra gli altri, a l'apostolo
Paolo, come lui dice nella
prima epistola ai Corinti. Dunque le leggende dei santi
accadranno false e santo Francesco avrebbe
ingannato il mondo, il quale disse che aveva
avuto la regola da Cristo, e molti altri santi, i quali dissero
aver parlato con Cristo. Praeterea, se Cristo
fu crucifisso per i peccatori, che maraviglia è che lui o i suoi
angeli e santi parlino ai peccatori per la utilità della Chiesa
sua? Praeterea, se Cristo nel sacramento dell'altare
si lascia ogni giorno trattare a innumerabili cattivi sacerdoti,
che indegna cosa è a lui
parlare ai peccatori? Ma gli uomini in questi tempi sono in
tante tenebre, che pare loro impossibile quello che è molto
facile negli occhi di Dio, e meravigliandosi
non delle cose maggiori ma
delle cose più rare. Maggior cosa è giustificare
un peccatore e abitare in lui per grazia, che parlargli:
nientedimeno nessuno si meraviglia
della giustificazione, ma sì
bene della locuzione; e la giustificazione si crede e la
allocuzione non si può credere —.
Disse il Tentatore : — Bene è vero che
per i tempi passati Cristo ha parlato a molti; ma in questo
tempo non è necessario alla salute, perché abbiamo gran copia di
Scritture e di dottori —. Risposi: — Padre, le Sacre Scritture e
i dottori per sé sono sufficientissimi ad insegnare agli uomini
la via della salute per istruzione esteriore; nientedimeno, se
l'uomo non avesse il lume interiore
della grazia, poca utilità conseguirebbe dalla dottrina
cattolica : e però è necessario esser illuminato da Dio dentro
per grazia, e questo lume è comune a tutti quelli che vogliono
vivere da cristiano. Ma oltra di questo, molte volte è
necessario uno speciale lume, e particolarmente a chi ha a
illuminare altri, per la maggior parte per alcune cose
particolari e circostanze infinite, per la diversità dei tempi e
condizione di uomini e variazione di stati, per le quale l'uomo
si trova dubbio moltissime volte di quel che lui ha a fare nel
presente e nel futuro e, se non ha speciale illuminazione, non
può per le Scritture né per i dottori certificarsi del meglio
suo, perché tale particolarità
non sono scritte né è possibile a gli uomini
scriverle, perché appena tutto il
mondo sarebbe capace dei libri. Et ideo iubebat
Plato descendentem usque ad particularia quìescere. E perché
nella mutazione della Chiesa universale, la quale non si fa mai
senza grande tribolazione e spirituale e corporale, è necessario
preparare gli eletti di Dio e fortificarli nel ben vivere,
acciocché non siano trovati allo improvviso,
se noi consideriamo bene il Vecchio e Nuovo Testamento, l'onnipotente
Dio innanzi a tale mutazione
sempre manda ad avvisarli e confortarli e illuminarli di quel
che hanno a fare, per la bocca dei suoi servi; onde dice Amos
profeta nel terzo capitolo : Si erit malum in
civitate, quod Dominus non fecerit?
Quia non faciet Dominus Deus verbum nisi revelaverit secretum
suum ad servos suos prophetas;
e però essendo al presente la Chiesa venuta alla feccia e
volendola Dio rinnovare per molte tribolazioni,
è stato necessario in questi tempi illuminare per i suoi servi
di questo gli eletti sua, acciocché possino
prepararsi e che non siano trovati allo improviso —.
Disse il Tentatore: — Come puoi tu
sapere questo tempo della rinnovazione della Chiesa,
cum scriptum sit
(5)
" Non est vestrum nasse tempora vel
momenta,
quae Paler posuit in sua potestate "?
—. Risposi: — Padre, notate bene le parole : che egli
dice non essere nostro officio conoscere i
tempi ed i momenti, non tutti,
ma quelli soli che ha posti il
Padre in la sua potestate, come è il dì del giudizio, nel qual
Cristo restituirà il regno d'Israël; del quale regno parlavano
i discepoli, benché non
intendessero quale avesse a
essere questa restituzione. Certo è che a Noè fu determinato il
tempo del diluvio, a Ieremia
settanta anni della cattività del popolo di Israel e a Daniel
settantadue ebdomade dello avvenimento di Cristo, e a molti
altri profeti sono stati determinati i tempi avendoli
determinatamente pronunziati —.
Rispose allora il Tentatore: — Perché
piuttosto Dio ha eletto te che un altro, essendo nella Chiesa
molti migliori di te? —. Risposi: — Padre, io vorrei sapere da
voi: perché Dio elesse santo Pietro, che tre volte negò Cristo,
e santo Paulo, che lo perseguitò, a essere principi degli
apostoli, piuttosto che molti altri in quel tempo migliori di
loro? E perché elesse a scrivere il suo Evangelo santo Luca e
santo Marco piuttosto che alcuni altri o più santi di loro o
equalmente santi? E perché elesse Balaam idolatra e cattivo uomo
a profetare alcune cose di Cristo e della Chiesa e a fargli
parlare agli angeli suoi apertamente piuttosto che molti altri o
migliori di lui o manco cattivi? Non si può assignare di questo
ragione nessuna, ma solo la volontà
divina, come dice lo Apostolo,
parlando delle grazie dello
Spirito Santo, ai Corinti:
Haec omniu operatur unus atque idem Spiritus,
dividens singulis prout vult; e scrivendo ai Romani della
predestinazione, dice: Cuius vult miseretur, et quem
vult indurat. Dicis itaque
mihi: quid adhuc quaeritur? voluntati enim eius quis resistiti O
homo, tu quis es, qui respondeas Deo? Numquid dicit figmentum
ei, qui se finxit: Quid me fecisti sic? An non habet potestatem
figulus Iuti ex eadem massa
facere aliud quidem vas in honorem, aliud vero in contumeliam?
—.
Disse il Tentatore: — Dunque tu sei
più santo degli altri? — Risposi: — Questa grazia della profezia
non fa l'uomo santo, anzi molte volte è data ai peccatori, come
si legge di Balaam nel libro dei Numeri, il quale profetò e
nientedimeno fu cattivo uomo. E il nostro Signore dice:
Multi dicent mihi in ilio, die: Nonne in nomine tuo
prophetavimus et in nomine tuo daemonia eiecimus et virtutes
multas fecimus? Tunc respondebo e is dicens: Amen dico vobis,
nescio vos. Queste grazie gratis date sono date piuttosto ad
utilità d'altri che ad utilità propria: maggiore cosa è avere
uno minimo grado di carità che aver tutte le grazie gratis date
che si possono avere, come dice lo Apostolo: Si
linguis hominum loquar et angelorum, caritatem autem non habeam,
factus sum velut aes sonans aut cymbalum tinniens —.
Disse il Tentatore: — Io ho inteso che
tu seguiti visione di certe donnicciuole, le quale ti dicono
queste cose e tu le predichi —. Risposi questo non esser vero né
verosimile, perocché io
rarissime volte parlo a donne, come si sa per la città
pubblicamente : e in quelle rare volte ancora le spaccio in
brevità, e grande fatica è a conducermi a loro, come sanno i
miei compagni; e mai non ne confesso veruna.
Praeterea, essendo le donne di sua natura volubile e non
potendo tenere alcuna cosa secreta, credibile è che in tanti
anni non potrebbe essere stata questa cosa occulta.
Praeterea io so che la loro
testimonianza rare volte è posta
nelle Scritture, benché si siano trovate molte profetesse;
e per questo io intendo che Dio
lo abbi fatto, perché noi non ci fidiamo
molto nella testimonianza
loro, benché non lo dobbiamo ancora sprezzare,
siculi scriptum est: " Prophetias nolite spernere "; e la
ragione è perché le donne essendo ignoranti
e naturalmente deboli
di giudizio e volubili e fragili
assai e molto inclinate alla vanagloria, facilmente si lasciono
ingannare dalle sottilità del
demonio. La qual cosa sapendo io, non crediate che io mi
confidassi nelle loro profezie, per la maggior parte a
predicarle in conspetto di tanto popolo, perché, quando poi non
riuscissero, sarebbe
grande scandalo della fede e disonore di Dio e a me ignominia e
non poco danno.
Disse il Tentatore: — Alcuni dicono
che tu hai amicizia con principi e per lo avere tu i loro
segreti tu vai predicendo quello che loro hanno già disposto di
fare —. Risposi: — Io so quanta è la volubilità dello animo
umano e per la maggior parte dei cuori dei principi, i quali
spesso si mutano secondo la variazione dei tempi; e però stolta
cosa sarebbe a me e ad ogni altro, quando ancora sapessi i loro
segreti, firmare le mie parole sopra la loro disposizione, per
la maggior parte sapendo che sono
mortali e possono morire ogni ora e da l'altra parte possono
essere impediti da altri principi o da infirmità o da altre
variazione umane, le quale occorrono ogni dì e in ogni tempo.
Onde a volere preannunciare
queste cose in verità non può bastare alcuno intelletto umano né
angelico, perché bisognerebbe sapere tutte le circostanze che
possono occorrere e tutti gli impedimenti che possono avvenire ed
essere certo se verranno o se
non verranno : le quale cose non può sapere altro che Dio,
qui vocat ea quae non sunt tam-quam ea quae sunt,
al quale ogni cosa è presente innanzi che la sia. E però grande
stoltezza sarebbe la mia a predire le cose future con così
debole fondamento —.
Disse il Tentatore: — Altri dicono
che molti cittadini ti rivelano i segreti del reggimento di
Firenze, per i quali tu intendi molti altri segreti e ordini
d'altri Signori, e poi da questo tu vai congetturando
molte altre cose future per sottilità di ingegno e discorso di
ragione —. Risposi questa obiezione non merita risposta, perché
non la possono fare se non uomini grossi e di poco giudizio, i
quali non hanno tanta capacità, che conoschino le cose che io ho
predette non si puo certamente
affermare per questa via; e se pure vogliamo rispondere loro,
basta quello che abbiamo risposto alla obiezione fatta di sopra
immediata.
Disse il Tentatore: — Altri dicono
che per grande astuzia e per saper tu come vanno i governi tu
hai ritrovate queste cose e le hai preannunciate con tale
cautela di parlare che, ancora quando non riuscissero,
tu ti puoi salvare —. Risposi: — Questi che dicono a questo
modo, quando io cominciai a predire la guerra, già sono appresso
a cinque anni, e le altre cose particolari le quale sono già
venute, dicevano allora che io ero semplice uomo e che la
semplicità mi ingannava; ora che vedono una grande parte delle
cose preannunciate esser presente e segni manifesti della
certezza delle altre che hanno a venire, hanno voltato mantello
per coprire la loro vergogna e dicono
che io sono astuto e che io acconcio le parole con tale cautela,
che io non posso rimanere preso. Questi pur sanno che io dissi
che verra uno che passera monti e piani e piglierebbe le
fortezze e rocche e le città con le meluzze e che i Fiorentini
piglierebbero il partito e si
consiglierebbeno al contrario e che diventerebbero
come ebbri senza provvedimento
e senza consiglio, e simile altre cose poste dinanzi; e altre
molte particolari spero avere ora di prossimo e pubblicamente
predicarle, le quali non si
potranno glossare; e secondo il giudizio di ogni uomo se le
precedenti non venivano non mi
potevo salvare, come loro
dicano, e se le seguente ancora non verranno non potrò fuggire
confusione —.
Disse il Tentatore : — Io ho inteso
che tu hai le rivelazioni di
santa Brigida e dello abbate Ioachino
e di molti altri, con le quale tu vai preannunciando queste cose
future —. Risposi: — Io vi prometto, padre, che di queste tali
lezioni io non mi diletto né
ho letto mai le rivelazioni di
santa Brigida e poco dello abbate Ioachino,
e quasi nulla, per la maggior parte di profezie e cose future.
Delle altre profezie mai non mi dilettai né mai ne ho scritte o
tenute, come sanno quelli che sono miei familiari, i quali sono
testimoni che tanto mi diletta la Scrittura Sacra del Nuovo e
Vecchio Testamento, che già sono molti anni che quasi mai non
leggo altro libro e tutte le altre lezioni
mi sono quasi venute a noia, non perché io sprezzi le altre
lezione né perché non mi piaccino i santi dottori, ma perché a
paragone di questa ogni cosa dolce mi pare
amara; e se voi pur questo non mi
credete, crediate almeno che io non sono di sì poco giudizio,
che io con tanta fermezza accertassi le cose che io ho detto e
molte volte confermando le
replicassi, se io non avessi altro fondamento che questo:
perché, non essendo le loro profezie della Scrittura canonica,
non mi posso per esse totalmente firmare l'animo a crederle e
preannunciarle.
Praeterea io sono venuto a tale particolarità
predicando, come appare di sopra e apparirà di sotto, che io non
credo quelle essere scritte nelle loro profezie.
Praeterea, quando ancora mi fondassi in quelle e fussero
vere, questo dovrebbe bastare agli uomini a credere quel che io
dico e fare penitenza dei loro peccati. Perché questa obiezione
la quale voi fate non vuol
dire altro se non : tu non sei profeta, ma tu predichi le
profezie d'altri; e però rispondo che se è vero quello che io
dico, a me basta, pure che gli uomini faccino bene: e non mi
curo d'essere tenuto profeta, perché questo nome è molto grave e
pericoloso e inquieta l'uomo e
suscita contro a lui molte persecuzioni,
benché si portino volentieri per l'amore
di Cristo. Né per questo voglio dire che io abbi mai seguitato
profezie d'altri eccetto quella della Scrittura canonica; anzi,
come ho detto, o non le ho lette mai o, se pure ne ho lette
qualche una instigate da qualche amico, non le ho mai servate
ma, poi che le ho lette una volta, le ho lasciate a chi me le ha
portate, non le sprezzando né approvandole,
commettendo sempre tutto a Dio:
(15)
quia omnia sunt nuda et aperta oculis
eius
—.
Disse il Tentatore: — Figliuolo mio,
queste cose si vorrebbono tenere segrete, perché questo è
documento di tutti i santi padri —. Risposi: — Se questo fosse
vero, seguiterebbe che Moisè, Esaia e Ieremia
e gli altri profeti del Vecchio e Nuovo Testamento avessero
fatto male a predicare ai popoli le loro revelazioni
e a scriverle nei libri, e similmente molti santi padri dello
eremo: così santo Benedetto, santo Vincenzio dello Ordine dei
Predicatori, santa Caterina da Siena, santa Brigida e altri
innumerabili, come si trova in diversi luoghi scritto, avrebbero
errato a manifestare le rivelazione che avevano da Dio. Vero è
dunque che si debbano tenere segrete
se da Dio non è comandato il contrario : e però sa bene tutto il
popolo che di queste cose io non ne parlo se non in pubblico, e
tanto ne dico quanto mi è concesso ovvero comandato; e in
privato o non ne dico mai o rare volte, se non forse a qualche
mio familiare, ponendo sotto la fede sua in grande segreto. E
crediate che io ho molte cose particolari nel segreto del petto
mio, le quale non ho mai manifestate né sono per manifestarle,
se altrimenti non sono spirato da Dio —.
Disse il Tentatore : — Chi
preannuncia le cose future le deve provare con miracoli, se
vuole che le gli siano credute : altrimenti gli eretici
potrebbero fare questo medesimo; onde alcuni allegano contro
te il capitolo Cum ex intimato extra de haereticis,
il quale par che voglia che chi predica tal cose le debba
provare per qualche segno o miracolo. E però dicono che,
non facendo
tu questo, che tu seguiti il modo degli eretici, e ti chiamono
eretico —. Risposi che questi tali sono o ignoranti o maligni,
perché o non intendono e non hanno bene studiato
né le Scritture né i canoni o con malignità le vanno pervertendo
: perocché non si trova scritto in alcuno luogo questo che
essi dicono, anzi di pochi
profeti si legge che con le profezie abbiano
fatti miracoli, unde Ieremia,
come si legge nel suo libro al XXVIII capitolo, quando Anania si
gli contrappose non provò la
sua profezia per miracolo, ma
disse: Audi verbum hoc, quod ego loquor in auribus tuis et in
auribus universi popoli: Prophetae qui fuerunt
ante me et ante te ab initio, et prophetaverunt super terras
multas et super regna magna de proelio et de afflictions et de
fame; propheta qui vaticinatus
est pacem, cum venerit verbum eius, tunc
scientur
propheta, quem misit Dominus in veritate. Iona
profeta non fece miracolo alcuno a quelli di Ninive predicando
la loro distruzione. E
breviter dei profeti i quali profetarono
ai tempi dei Re del popolo di Israel, di molto pochi si legge
che abbiano provate con miracoli le loro profezie. Ma che dico
degli altri profeti, quando il Profeta dei profeti, santo
Giovanni Battista, non fece alcun miracolo? Onde è scritto
Iohannis X: "
Multi venerimi ad Jesurn et dicebant quia
Iohannes
quidem signum fecit nullum. Omnia autem, quaecumque
dixit Iohannes,
vera erant; et multi crediderunt in eum ". E il testo delle
Decretale di sopra allegato non è a proposito, perché parla
contro a quelli i quali volessero
predicare non mandati dai prelati
della Chiesa, dicendo essere mandati
da Dio invisibilmente : e però dice quel testo che bisognerebbe
che pro-vassero questa loro
missione o per miracolo, come fece Moisès, o per la Scrittura,
come fece santo Giovanni Battista dicendo: Ego vox
clamantis in deserto, sicut dicit Esaias propheta. Perché se
il testo parlasse come dicono
costoro, sarebbe contrario alle Scritture, come abbiamo dimostrato
: e però bene abbiamo detto che sono o ignoranti o maligni e
perversori delle Scritture e dei canoni. E io non ho a provare
per miracoli né per Scritture la mia missione, perché si sa
pubblicamente che io sono mandato dai miei superiori e non dico
che io sia mandato da Dio solo e non da loro; né mi possono
giustamente chiamare
eretico, perché eretico è colui il quale ha eletto di seguire
ostinatamente una setta contraria alla Sacra Scrittura o alla
dottrina della Santa Romana Chiesa, e io per me non so che mai
abbia detto né scritto cosa contraria alla dottrina di Cristo e
della Chiesa; e tutto quello che io ho detto per i tempi passati
e scritto, e dirò e scriverò nei tempi futuri, lo sottometto
alla correzione della Santa Chiesa Romana e sono parato
etiam
di stare a correzione di ciascuno in ogni cosa che io
errassi.
Disse il Tentatore: — In effetto io
non voglio credere così presto, perché egli è scritto:
Qui cito credit levis est corde —. Risposi
essere ancora scritto: Caritas omnia credit.
Conciossia dunque che lo
Spirito Santo non sia a sé medesimo contrario, il quale ha
prolate queste due frasi, è da notare che alcune
cose sono le quali
con difficultà si debbano credere, come sono le detrazione e
susurrazioni e infamie e mal
dire del prossimo; alcune altre si dovrebbero facilmente
credere, come sono quelle le quali,
credute, inducono l'uomo al ben vivere. Onde le cose della
nostra fede, ancora quando non fussero vere, quod
est impossibile, io mi sforzerei di crederle perché,
credendole, mi inducono ad uno vivere del quale nessuno si può
trovare migliore né pensare. Alcune altre sono indifferenti,
le quale si possono credere e non credere senza peccato, come
sono le istorie dei Gentili e simile altre cose. Conciossia
dunque che le cose le quale noi abbiamo predette non siano
contro la fede né contro i
buoni costumi né contro la ragione naturale e siano verosimile,
come per molte ragioni abbiamo
in diversi tempi provato, et ulterius induchino gli uomini al
ben vivere, come è apparso per esperienza, seguita che non è
leggerezza a crederle facilmente. E però gli antichi padri, come
furono santo Ieronimo,
Ambrosio, Augustino e santo Gregorio e molti altri, i quali
furono santissimi e dottissimi in ogni scienza e prudentissimi
nelle cose umane, facilmente credevano simile cose
etiam a gli uomini idioti, purché fossero
uomini o donne di buona vita e fama, e non solamente credettono
a loro, ma etiam le scrissono per utilità
degli altri e quelle feciero
eterne, come appare nelle Vite dei santi padri, le quale scrisse
santo Ieronimo e nel Dialogo
di santo Gregorio e in alquanti libretti di santo Augustino e in
molti altri libri scritti da molti santi. Certo noi non siamo né
più santi né più savi dei
nostri antichi padri passati, i quali hanno scritto di queste
cose innumerabili per nostra
utilita così nel Vecchio come nel Nuovo Testamento e in altri
libri approvati e accettati
dalla Santa Chiesa.
Disse il Tentatore: — Se noi abbiamo
a credere tutte le visione che ci sono dette, certo noi ci
troveremo spesse volte ingannati, e però è scritto:
Probate spiritus, utrum ex Deo sunt
—. Risposi in questa materia essere nascosto
un segreto del quale ogni uomo non è capace. Pure, a
similitudine delle cose naturali,
mi sforzerò di farne capace ogni uomo : nelle quali
noi vediamo che tutte quelle che hanno una medesima forma hanno
ancora una medesima inclinazione e operazione conséguente
a quella forma, onde tutte le cose gravi
sono inclinate ad andare al
basso, cioè al centro del mondo, e le leggere
a salire in alto: così etiam si deve esistimare
nelle cose sopranaturali, che
tutte quelle che hanno una medesima forma hanno
etiam una medesima inclinazione e operazione naturalmente
conseguente quella forma.
Essendo dunque il lume della fede forma sopranaturale d'una
medesima specie in tutti
quelli che hanno la fede, avvenga che la sia più intensa in uno
che in un altro, e essendo naturalmente questo lume inclinato
alla verità come al suo proprio obietto, chi ha questo lume non
può fermarsi in alcuna falsità contraria alla fede, senza
corruzione ovvero perdita del predetto lume. Ma ogni volta che
colui il quale è veramente fedele sente dire o predicare cose
delle quale lui non è capace, se opera secondo questo lume non
si ferma mai alla parte falsa,
ma sempre commette tutto a Dio e alla dottrina della Chiesa; e
però è da notare che, oltre al comune lume della fede, quelli
che vivono bene e vanno retti a Dio hanno uno speciale lume, per
la coniunzione della carità alla fede e per la rettitudine e
semplicità di mente, sicut scriptum est: "
Exortum est in tenebria lumen rectis corde ",
per il quale sono inclinati senza errore a conoscere le
rivelazioni e operazione
divine; e così come Dio dirizza la natura che la non erra, come
dicono i filosofi, quod opus naturae est opus
intelligentiae non errantis, così ancora dirizza gli suoi
giusti fedeli
e semplici a conoscere le sue operazioni
e rivelazioni senza errore; e
però chi non vuole essere ingannato in queste cose viva bene con
semplicità di cuore e sarà diritto da Dio in simile cose senza
errore. E in questo modo i padri antichi nostri di sopra
prenominati non erravano né in credere né in scrivere quel che
hanno creduto e scritto, ma solo s'ingannano alcuni superbi, i
quali allora pare loro che da gli uomini siano reputati savi,
quando contraddicono e si
fanno beffe di queste cose; i quali non solo non fanno mai
orazione se non forse con la lingua, ma non sanno pure della
orazione quid nominis, cioè quello che si
voglia dire il nome della orazione.
Disse il Tentatore: — Io vedo pure
che molti uomini sapientissimi, di grande ingegno e naturale e
di grande prudenza in tutte le cose umane, si fanno beffe di
queste visioni; la autorità
dei quali molto mi muove —. Risposi: — Non vi ho io detto che
qui non bisogna altro che ben vivere e andare retto nel
conspetto di Dio? Perché la sapienza
umana a queste cose non è sufficiente, anzi per la sua superbia
Dio la lascia in tenebre, come indegna di così prezioso lume,
sicut scriptum est: "
(3)
Abscondisti haec a sapientibus et
prudentibus, et revelasti ea parvulis
". Unde dice lo Apostolo: Ubi
sapiens? ubi scriba? ubi inquisitor huius xaeculi? Nonne stultam
fecit Deus sapientiam hiuius
mundi? Nam quia, in Dei sapientia, non cognovit mundus per
sapientiam Deum, placuit Deo per stultitiam
praedicationis salvos facere credentes.
E Esaia: Ubi est litteratus? ubi doctor legis
verba ponderami ubi est doctor parvulorum? Populum imprudentem
non videbis, populum alti sermonis, così ut non possis
intelligere disertitudinem linguae eius, in quo nulla est
sapientia. Rispondino questi savi se quello che io ho prenunciato
è possibile o impossibile alla potenza e sapienza divina: e
certo è che, se i sono savi, non possono dire se non che non
solo non è impossibile né difficile a Dio, ma molto facile.
Vorrei dunque sapere da loro la ragione e il fondamento che gli
muove a farsi beffe di tale cose, perché non è cosa da uomo
savio e prudente parlare senza ragione e fondamento; e se noi
consideriamo bene, non possono avere alcuna ragione contro alle
cose nostre: non dimostrativa,
perché la materia non lo patisce, preannunciando noi le cose
future contingenti, perocché
la dimostrazione è delle cose necessarie; né dialettica o
probabile, perché tale ragione genera opinione e benché
totalmente non fermi lo intelletto, nientedimeno lo inclina pur
più ad una parte che ad un'altra. Ma le cose le quale io
preannuncio, quanto si può vedere per le cause naturali,
sono uguali e indifferenti a
venire e non venire; e similmente, quanto alla volontà
di Dio, lui le può fare e non fare
come gli piace, e nessuno può sapere senza rivelazione a quale
parte lui sia inclinato e determinato : e però per ragione
naturale queste cose non si possono né probare né reprobare,
perché non si trova causa nessuna dove si possa fondarle.
Praeterea non si possono ancora reprobare per
segni, perché tra gli altri due
sono potissimi a reprobarle. Uno è a vedere disposizione
contraria nel mondo: e questo non prova nulla, anzi il
contrario, perché Dio, che vuole manifestare la sua gloria, fa
cose grande a tempo che nessuno uomo le aspetta e falle
preannunciare innanzi molto tempo, quando non pare che ne sia
alcuna disposizione, come appare nei profeti della Legge vecchia
e anche nuova; onde io, al tempo che era pace universale per
tutto, preannunciai che presto verrebbe grandissima guerra, e
ora che si vede commosso il mondo preannuncio che da poi questo
verrà somma tranquillità e pace per tutto l'universo; e ai
Fiorentini preannunciavo male a tempo che parevano in somma
felicità, e ora, quando sono in grande tribolazione, preannuncio
che avranno presto grande felicità. Sicché questo segno non è
buono a reprobarle. Un altro segno forse parrebbe efficace, cioè
la mala vita di colui che le predice: e questo ancora non vale
perché, come abbiamo detto, molti cattivi uomini hanno
preannunciato le cose future per virtù del lume della profezia,
il quale è grazia gratis data e può stare insieme col peccato
mortale. Finalmente io non vedo dove si fondi la derisione di
questi sapienti, salvo che nella loro superbia, la quale li
confonderà: che certo dovrebbero
considerare che, non essendo impossibile queste
cose e essendo consonante, come abbiamo dichiarato di sopra, che
loro si mettono a pericolo di rimanere confusi, poi che le cose
predette saranno venute, e di perdere la gloria per la quale
fanno ogni cosa e si affaticano tanto. Vero è che non è da
maravigliarsi che loro non credino, essendo detto da Cristo:
In indicium ego in hunc mundum veni: ut qui non
vident videant, et qui vident caeci fiant —.
Disse il Tentatore: — Molto pochi
sono quelli che ti credono, a paragone di quelli che se ne fanno
beffe : però dura cosa pare a seguitare il giudizio di così poca
gente —. Risposi questa ragione esser molto frivola, perché
vediamo nel mondo pochi uomini essere di buono giudizio e i savi
essere molto pochi a paragone dei pazzi, sicut
scriptum est: " Stultorum infinitus est
numerus "; unde etiam pochi sono quelli
che vivono bene a paragone di quelli che vivono male,
quia multi sunt vocati,
pauci vero electi, e nel Nuovo e Vecchio Testamento si legge
che pochi seguivano i profeti
e Cristo e gli apostoli, a paragone di quelli che li
perseguitavano. Praeterea, è grande differenza
tra quelli che odono queste cose dalla bocca di colui che le
preannuncia, e quelli che poi dai suoi auditori o da altri le
odono riferire. Onde se voi parlate di quelli che odono la
nostra predicazione, vi dico che molto più senza paragone sono
quelli che credono che quelli che non
credono, anzi quasi nessuno dei nostri auditori è che non creda;
ma se voi parlate di quelli che non hanno udite queste cose da
me, concedo che più sono quelli che non credono che quelli che
credono, perché altra cosa è udire colui che queste cose sente
dentro che colui che non le sente, e altra cosa è udire la viva
voce e le ragioni con l'ordine
e la efficacia delle parole insieme con
la consonanza delle Scritture, che a
udirle dire asciutte e nude, disordinate e quasi morte e senza
spirito; e però ben disse santo Ieronimo: " Plabet
nescio quid latentis energiae vivae vocis actus et in aures
discipuli, de auctoris ore transfusa, fortius sonai ". Unde
scriptum est: " Dabo vobis os et
sapientiam, cui non poterunt resistere et contradicere omnes
adversarii veltri ". E di santo Stefano si legge che,
essendo congregati contro di lui tanti sapienti, non
poterant resistere sapientiae et
spiritili qui loquebatur. Non è dunque meraviglia
se molti, che non odono dallo autore queste cose, non le
credono, per la maggior parte avendo sempre la dottrina di
Cristo avuta contraddizione dal principio del mondo insino a
questa ora presente; e però molti in diversi luoghi vanno
corrompendo le mente dei semplici, i quali, non avendo udito da
l'autore, facilmente si
lasciano inclinare dalle loro male persuasioni
a non credere.
Disse il Tentatore: — Alcuni dicono
che tu hai dette di molte cose che non sono state vere, e però
non credono anche le altre —. Risposi che tutto quello che
pubblicamente io avevo preannunciato o è venuto o
verrà e non ne cadrà un minimo iota
in terra. Ma è da notare che nel parlare mio
privato, perché io sono
uomo e allora parlo come uomo, potrei forse aver detto
qualche cosa non vera, benché di questo io non abbia
coscienza nessuna né mi ricordi d'averlo mai fatto, perché mi
sforzo pure sempre di dire la verità in ogni cosa; ma quando pur
mai fosse accaduto, potrebbe essere stato o per lapso di lingua
o per parlare di qualche cosa futura non per spirito ma
per congetture umane, come accade ogni giorno. E però io ho
detto molte volte in pergamo che nel mio parlare privato non mi
credino se non come si ha a
credere agli altri uomini, eccetto che pure alcune cose
particolari ho detto pure
nel medesimo lume sopranaturale ad alcuni miei familiari circa
le cose future, delle quale alcune già sono adempiute e
le altre si adempieranno senza dubbio. Praeterea
è da sapere che lo spirito della profezia non è sempre presente
al profeta, ma va e viene
secondo che piace a Dio, né dimostra ogni cosa, ma più
e meno, come vuole lo
Spirito Santo. Onde Natan profeta per spirito proprio disse a
David che lui edificasse il Tempio, perché il Signore era con
lui; ma di poi lo Spirito Santo gli fece revocare il detto suo.
E però errano alcuni sciocchi, i quali dicono che mi hanno
parlato e che io non ho conosciuto il segreto del cuor
loro, quasi come si voglino dire che ciascuno che è
profeta è Dio, volendo che colui che è profeta conosca ogni
cosa. Er-ratis, nescientes Scripturas neque
virtutem Dei. Il gran profeta
Eliseo, quando a lui venne quella Sunamita
alla quale era morto il figliuolo,
disse: Anima eius in amaritudine est et Dominus
celavit a me et non indicavit mihi. E molti sono venuti a
tentarmi perché, predicando, ho detto che non mi potevano
ingannare con le loro astuzie, non considerando che io intendeva
queste parole, che non potrebbero
farmi dire cose inconvenienti
in predicazione con loro astute malizie, perché quello che io
dico in pergamo sempre innanzi lo peso bene con la bilancia
della orazione e delle Scritture e della ragione naturale o
della espe-rienzia o di fidati testimoni. Ma non intendevo che
non mi potessero ascondere i
segreti del cuore loro, i quali solo Dio conosce; avvenga però
che circa le cose del momento
e di importanza molti si credino avermi ingannato, le frode
dei quali ho conosciute alcuna volta innanzi che i mi abbiano
parlato e alcuna volta da poi, come potrebbeno esser testimoni
alcuni miei familiari, ai quali secretamente le ho dette, anzi
gli medesimi fraudolenti, i quali hanno visto gli loro disegni
essere stati rotti e le loro fraude conosciute. Questa obiezione
ancora parte credo che sia venuta da alcuni religiosi (benché
pochi), i quali per carità ammonendogli, dissi loro alcuni suoi
difetti segreti, dei quali alcuni incorrigibili sempre li hanno
negati e nientedimeno si sono poi scoperti e per molti segni
evidenti si sono pubblicamente manifestati, benché loro ancora
pertinacemente persistevano
nella protervia loro; alcuni altri a qualche loro familiare
hanno confessato quel che io ho detto loro essere stato vero,
benché ad alcuni altri per
vergogna l'hanno negato.
Questo errore ancora è proceduto perché molti calunniatori
fingono molte cose false, diminuendo o aggiungendo alle nostre
parole secondo che pare loro: e così vanno seminando me essere
stato lo autore dei loro errori; e può ancora essere processo
per non aver bene intese le parole nostre nella predicazione,
onde m'è stato necessario molte volte ripetere
le medesime cose. E però ho deliberato di scrivere tutto quello
che io ho detto in pubblico delle cose future, acciocché si
sappia quel che io ho detto e che non mi sia apposto quel che io
non ho detto, a questo fine che la dottrina di Cristo non
patisca tante calunnie.
Disse il Tentatore: — Io credo che
per te molto faria oramai star cheto, perocché tu sei fatto la
favola di tutto il popolo
fiorentino, anzi di tutta la Italia —. Risposi: — Io non cerco
di piacere agli uomini, ma a Dio, perché, come dice lo Apostolo,
si adhuc hominibus placerem, Christi servus non
essem. E non sono di sì poco giudizio, che io non sappi che
ogni uomo che parla di queste cose è reputato pazzo dai
savi di questo mondo, ai quali io
dirò insieme con lo Apostolo: Nos stulti propter Christum, vos
autem sapientes. Ma quando verrà quel tempo nel quale
insti stabunt in magna constantia adversus eos qui
se angustiaverunt, spero d'udire le voce di questi saggi che
diranno: Hi sunt quos habuimus aliquando in
derisum et in similitudinem improperii.
Nos insensati vitam illorum aestimabamus insaniam et finem
illorum sine honore. Ecce quomodo computati sunt inter filios
Dei, et inter sanctos sors illorum est —.
Disse il Tentatore: — Se solamente tu
fossi deriso, sarebbe poca
cosa; ma tu sei ancora avuto in odio e però tu stai in pericolo
della vita tua. Sarebbe dunque buono che tu cessassi oramai —.
Risposi: — Come ho detto, io
non sono così pazzo, che io non sappia
che riprendere ogni uomo e non
perdonare ad alcuno stato è
concitare contro a sé odi gravissimi; ma io mi conforto
tanto più quanto che io vedo la dottrina e le
imprese e opere nostre essere simili
a quelle di Cristo e degli apostoli suoi e dei santi profeti,
i quali furono derisi per la verità e odiati e perseguitati
crudelmente; e però questo è segno di elezione, dicendo
Cristo: Beati
eritis cum vos oderint hommes et persecuti vos fuerint et
dixerint omne malum
adversurn vos, mentientes, propter me. Gaudete et esultate,
quoniam merces vestra copiosa est in caelis. Sic enim persecuti
sunt prophetas qui fuerunt ante vos —.
Disse il Tentatore: — A me pare che
quel che tu fai non è per ignoranza né per stolta semplicità,
perché tu hai risposto per tal modo a le obiezioni,
che tu mostri in queste cose non andarne preso alle grida; e
benché molte altre obiezioni
si potessino fare, nientedimeno, avendo tu risposto a tante e
alle più difficili, conosco
che facilmente tu solveresti le altre. Se dunque tu non predichi
in questo modo per ignoranza, parendo a molti queste tue
profezie essere errori, seguita che tu li
fai per malizia, come dicono alcuni, cioè per acquistare gloria,
dignità e ricchezze: che,
fìgliuol mio, sarebbe un gran male —. Risposi e dissi: — Benché
a me non sia decente giustificarmi,
nientedimeno, acciocché questa
dottrina di Cristo non sia calunniata, risponderò con quella
modestia che a me sarà possibile. Io ho detto di sopra che
questo lume della profezia non fa l'uomo giusto, e io mi
confesso peccatore e aver bisogno della misericordia di Dio. Ma
è da notare quello che dice Dio a Samuel profeta:
Homo videi quae parent fortes,
Deus antera intuetur cuor. E però della mia vita, o bona o
cattiva, nessuno mi ha a indicare se non Dio:
omnes enim nos oportet praesentari ante tribunal Domini nostri
Iesu Christi, ut referat
unusquisque quae gessit in corpore. Dunque a me pare che
quelli i quali dicono in cotesto modo parlino senza fondamento,
perché loro non possono
intendere il segreto del mio cuore né la intenzione finale del
mio predicare se non forse per qualche segno
esteriore, dei quali,
etiam quanto può vedere uno uomo, non ne
possono avere fondamento
alcuno, perché, se il mio fine non è buono, come dicono loro,
cum omne
agens agat propter finem,
bisogna che io abbi posto il fine del mio predicare in qualche
cosa temporale e lasciato Dio. Le cose temporali
di questo mondo sono in tre differenze: quia aut
sunt extra hominem, come sono ricchezze, onori, gloria,
potestate e dignità; aut sunt intra hominem e
appartengono alla parte sensitiva, come è fortezza corporale,
sanità, bellezza e voluttà; aut sunt intra hominem
e appartengono alla parte intellettiva, come è la scienza, la
eloquenzia e le altre grazie gratis date. Bisognerebbe dunque, a
volere di me indicare quello che questi tali uomini indicano,
non potendo loro conoscere il cuor
mio, che avessero qualche
segno esteriore manifesto che io appetissi o qualche una di
queste cose o tutte, nel quale segno potesseno fondare il loro
giudizio. La qual cosa a me non pare: perché loro
non possono dire che io cerchi ricchezze, perché si sa
pubblicamente che io con i fratelli miei tutti ci siamo ridutti
ad uno semplice vivere e povero, come è conveniente allo stato
nostro; così che la città e i cittadini sono testimonii che noi
non li molestiamo oltra il bisogno della vita nostra e che io
non tengo amicizia né familiarità di uomini potenti e ricchi,
anzi nelle predicazione mie sono stato loro sempre contrario e,
parlando secondo la carne e il sangue, avrebbeno
da dolersi molto dei fatti miei, benché, secondo lo
spirito, dovrebbero ringraziare Dio in me. Né si può dire che io
abbia cercato onore e gloria,
perché a preannunciare le cose future sempre s'acquista più
derisione che onore, come abbiamo detto di sopra e per
esperienza abbiamo provato, e per la maggior parte appresso i
grandi, appresso dei quali gli uomini animali e sapienti del
mondo cercano essere gloriosi,
perché cercare gloria appresso la povera gente sarebbe cosa
stolta a chi avesse posto il fine suo nella gloria e nello
onore, essendo di poca utilità essere glorioso appresso la gente
vulgare e appresso dei grandi essere deriso e odiato. Né si può
verisimilmente dire che io cerchi dignità ecclesiastiche,
perché nella nostra eta si sa come elle s' acquistano: e io non
ho tenuto nel mio predicare tal modo, anzi il contrario, benché
sempre abbia parlato generalmente e cose pubblice e non
calunniato veruna particolare
persona né nominatamente né per tale circostanze che si sia mai
potuto venire per me in cognizione di alcuno particolare:
e nientedimeno piuttosto ho generato contro me odio che
benivolenza di coloro a chi
s'aspetta dare tale dignita; né per questo mai mi sono mosso a riconciliarli
e a blandirgli. La qual cosa non fa chi va cercando simile
dignità. Né si possono ancora fondare nei beni corporali, perché
non mi potrei dare tali piaceri, che non si sapessi, per la
maggior parte dai frati, i quali vedono ogni giorno e ad ogni
ora la vita mia e sanno quale siano le mie fatiche mentale e
corporali. E chi sapesse
quanto è grande sola la fatica del predicare con intenzione e
desiderio di fare frutto, per la maggior parte continuando tanti
anni in una medesima città, non parlerebbe
in questo modo. E benché non paia cosa conveniente parlare di sé
medesimo e del modo del suo vivere, pure siami per ora lecito
dire così, e basti loro questa risposta : che i non possono
vedere in me cosa nella quale si possino fondare
che il mio predicare sia ordinato a fine di beni corporali, e
però parlano senza fondamento; né si possono fondare nei beni
della parte intellettiva, cioè che io predichi in questo modo
per manifestare la sapienza o la eloquenzia, perocché
manifestamente ogni uomo sa che io predico semplicemente
senza alcuna dimostrazione di sapienza e di eloquenzia. Né
queste cose ho dette per laudarmi, perché negli occhi di Dio
in hoc non sum iustificatits,
ma io le ho dette per dimostrare che i calunniatori della
dottrina nostra, anzi di Cristo, parlano senza fondamento e si
usurpano il giudizio del cuore, che è proprietà di Dio,
non avendo segni esteriori dove
possino fondare il suo giudizio temerario; e se pure loro
vi pare che io mi sia punto laudato, io risponderò come lo
apostolo Paulo: In insipientia dixi e Insipiens
jactus sum., quia me coegistis —.
Disse il Tentatore : — Io mi
maraviglio che tu dica che non si veda di fuori segno manifesto
della tua malizia, quando si sa pubblicamente che tu ti sei
separato dalla Congregazione della Osservanza
di Lombardia e hai separato ancora il convento di Santo Marco di
Firenze e di Santo Domenico da Fiesole e gli altri loro luoghi,
per non stare a obbedienza, e
sei fatto priore a vita e come signore di tutti questi luoghi: e
così tu ti hai fatto un bello stato da godere sempre —. Risposi:
— Questa separazione non ho fatto io solo, né l'avrei
potuto fare senza il consenso
di tutti gli frati, i quali, tra Santo Marco e Santo Domenico,
furono più di cento e tutti furono uniti a questo, benché non in
uno medesimo tempo, come appare per instrumento pubblico di mano
di notaio: i quali non è da credere che fossero
tutti o stolti o cattivi e che non intendesseno se questa
separazione era buona o cattiva, per la maggior parte facendone
loro più di sei mesi orazione particolari congregati insieme
quattro e cinque volte ogni giorno. E manifestamente appare che
noi ci siamo separati non per allargarci ma per restringerci,
come lo effetto ha dimonstrato. Né per questo fuggiamo la obbedienza
della nostra professione, perché la forma della nostra
professione è che noi promettiamo obbedienza a Dio e alla
Vergine Maria e a santo
Domenico e al Maestro Generale di tutto l'Ordine o a un priore o
vicario in luogo del Generale, così che la professione nostra è
stare a obbedenzia del
Generale e non della Congregazione di Lombardia : e noi siamo
sotto il Generale. E questa provincia di Toscana, secondo le
nostre costituzione, è separata da quella della Lombardia, e una
congregazione naturalmente non è superiore all'altra; ma per una
pestilenza non si potendo reggere il convento di Santo Marco per
sé medesimo per la paucità dei frati, fu raccomandato alla
Congregazione di Lombardia. E però, essendo per grazia di Dio
multiplicato il numero dei frati in modo che si possono reggere
per sé medesimi, non è inconveniente se son tornati allo stato
suo naturale, quia cessante causa,
cessare débet effectus: per la maggior parte
che i modi del vivere dei Lombardi sono diversi dai modi dei
Toscani. Né è vero che io mi sia fatto priore a vita; anzi il
breve papale della segregazione io lo feci impetrare in questo
modo, che il priore, finito l'anno
dal dì della sua elezione, rimanga casto
e assoluto e che sia in potestà dei frati eleggersi uno priore
come a loro piace : e così si osserva ogni anno. E essi
questo anno eletto un vicario capo di tutti i nostri conventi e
luoghi per due anni, così che,
passati i due anni, lui sia
suddito almeno due altri anni come gli altri frati. E così le
cose vanno per ordine senza alcuna signoria. Certo chi si parte
dalla obbedienza per insignorirsi non si restringe
a queste cose, ma va alla vita larga e mangia bene e veste
meglio e dassi buon tempo. Le quale cose non si vedono
in la nostra compagnia, ma sì bene
una grandissima unione e carità, la quale non può stare con la
ambizione, quia scriptum est: "
Inter superbos semper iurgia sunt ". E perché sarebbe lunga
cosa dirvi le cagione tutte che ci hanno mossi a separarci da
quella compagnia di Lombardia, una ne basterà al presente, se la
sarà creduta; ma, o creduta o non creduta, pur la scriverò e,
scrivendola, so che dinanzi a Dio scriverò la verità: io non mi
mossi a questo né per ambizione né per averne buon tempo né
quiete, perché in Lombardia non mi mancavano gli onori e la
quiete se io ne volevo, come sanno tutti quei frati. Ma io l'ho
fatto perché è stata la
volontà di Dio che io facci
così; e in quel medesimo lume per il quale ho predette le cose
future ho etiam fatta questa separazione: e
questo ha voluto Dio e così mi ha ispirato e costretto che io
facci così, per fare molte opere, le quale per noi vuole fare in
queste parte di Toscana e principalmente in Firenze; delle quale
parte si sono viste e le altre si vedranno, le quale non si
sarebbero potute fare se non precedeva questa separazione —.
Disse il Tentatore: —- Se tu sapevi
che questa era la volontàdi Dio, che bisognava che tu cercassi
dal Pontefice il breve di questa separazione per via dei
secolari e della potenza umana? —. Risposi che, benché Dio
comandi e voglia che si facci una cosa, bisogna però intendere
che lui vuole che si usino i
debiti mezzi secondo le
condizioni dei tempi: e al
presente questi tempi così richiedevano; e volse che noi
avessimo grande contraddizione, per darci ad intendere che lui
era quello che faceva questa cosa, e non gli uomini. E sono
testimoni tutti gli miei frati che, quando eravamo in quella
guerra, confortandoli spesso dissi loro che, se tutto il mondo
ci fosse contro, che noi a ogni modo avremo
vittoria, perché questa era la volontà
di Dio, come provò lo effetto.
Disse il Tentatore : — Una cosa è che
macula queste tue responsioni
: perché tu ti impacci dello stato e del governo della città di
Firenze e par che tu vogli essere Signore, menando il popolo
come a te piace —. Risposi: — Tutti gli uomini che hanno di me
notizia sanno che io non mi impacciai mai di stati di Signori,
eccetto questa volta, perché, avendo la città mutato stato e
vedendola in pericolo non piccolo, mi pare
che fosse mio debito consigliarla come la si dovessi governare;
onde io, non senza ispirazione dello
Spirito Santo, alle cose utile e necessarie alla salute della
città l'ho consigliata, e non sforzata. E poi che hanno presa
buona forma sanno tutti che io ho detto loro che temino Dio e
che in tutte le loro cose di importanza che hanno a trattare
prima faccino fare orazione e
che più a me non venghino : perché oramai voglio stare in mia
pace, se già Dio non mi inspirasse altrimenti e la carità mi
sforzassi qualche volta; benché non cesserò dare loro consiglio,
quando ne fosse richiesto. E nessuno può calunniare giustamente
quello che io ho fatto insino a qui, forse dicendo:
Nemo militans Deo implicai se negociis
saecularibus, ut ei placcai, cui se probavit, perché nelle
cose di tanta importanza quanta era questa e etiam
di minore, molti santi si sono
impicciati degli stati e delle
signorie dei popoli, come sa chi legge le Sacre Scritture e le
leggende dei santi; onde etiam santa Caterina
da Siena, che era femmina, molte volte si travagliò di stati per
fare bene alle comunità, in tanto che fu ambasciatrice dei
Fiorentini a Papa Gregorio XI insino a Vignone e, dopo alquanto
tempo, del medesimo Papa ai Fiorentini; e impicciandosi
degli stati in questo modo per la pace universale e per ridurre
gli uomini alla giustizia e ai
buoni costumi e per la salute universale delle anime non è impicciarsi
di cose seculari, né così
intende santo Paulo in quella autorità, ma è impicciarsi
di cose spirituale e divine, perché, come dice il Filosofo,
unumquodque denominari a fine iustum est —.
Disse il Tentatore: — Cotesta scusa
ti varrebbe quando tu avessi confortato il popolo fiorentino a
qualche buono modo di governo, ma questo governo al quale tu lo
hai confortato pare agli uomini prudenti e pratichi pericoloso,
perocché a mettere un governo di tanta importanza in mano della
plebe e toglierlo di mano ai potenti è cosa molto pericolosa —.
Risposi: — Questo governo, se bene è considerato, è buono e
naturale al popolo fiorentino, perché ogni buono governo si
distingue dai filosofi in tre spezie: la prima è quando uno solo
regge la moltitudine, il quale ha piena potestà sopra essa: e
questo governo, quando è giusto, è ottimo; la seconda è quando
la moltitudine è governata per pochi potenti e virtuosi, il
quale governo dimandano " aristocrazia ", idest
ottimo potentato, o vuoi dire potentato di ottimi, i quali per
questo sono chiamati ottimati; la terza è quando la città o la
provincia si regge per la moltitudine del popolo, il quale
reggimento si domanda " polizia ", e questo è il reggimento
antique dei Fiorentini, onde loro lo chiamano
" reggimento populare ", come appare
espressamente nei loro magistrati, nei quali sempre sono gli
artefici per la quarta parte, per la maggior parte quelli ai
quali spetta il governo della Repubblica. E però non è questo
governo nella plebe, ma in tutto il popolo, cioè in tutti quelli
i quali sono abili agli offici, cioè che sono stati un certo
tempo determinato cittadini di Firenze. E perché i potenti
facilmente conducono il popolo come vogliono, abbiamo
consigliato un modo e una forma di reggere politicamente, ovvero
popolarmente, in essa città, il quale se sarà osservato,
non potrà mai più alcun potente farsi tiranno per forza di
ricchezze o di amici, né poterà alcuno essere esaltato se non
sarà virtuoso; e tutti i cittadini saranno sicuri nella sua
città e nessuno a torto potrà lor nuocere, e sarà questo modo di
governo causa di grandissima unione e pace. E però non si
lamenta di questo, come ho spesso detto loro pubblicamente e
come la esperienza ha dimonstrato, se non tre condizione di
uomini, cioè ambiziosi, viziosi e stolti, i quali non potranno
così ora, se i non si emendano, avere quello grado che
indegnamente essi desiderano.
E non è vero che questo reggere sia pericoloso, perché né è
nella plebe né è assolutamente nel popolo né assolutamente è
negli ottimi, ma ogni uomo che era
potestà nella città la avrà dal
Consiglio Generale e sarà molto bene esaminato, perché nel
predetto Consiglio intervengono etiam tutti i
nobili e i prudenti usitati al governo; e in tanta moltitudine
d'uomini potrà essere poco errore, per la maggior parte quando
le cose saranno più ferme e più limate (perché nessuna cosa nel
suo principio può essere perfetta) e quando tutti i cittadini
abili e non la terza parte, come è ora, potranno insieme radunarsi
in detto Consiglio, come è di loro intenzione ordinare; il che
non s'è per insino a qui fatto per non essere ancora nel palazzo
pubblico luogo capace di sì gran numero di cittadini. Onde
sempre la plenaria potestà rimane in questo Consiglio, il quale
etiam non potrà essere facilmente corrotto e
viziato da chi volessi tiranneggiare, per la multitudine la
quale in esso si troverà, essendo difficile e quasi impossibile
corrompere tanta moltitudine di uomini, per la maggior parte che
ogni cosa, innanzi che venga alla esamina di detto Consiglio,
sarà sempre prima bene considerata dai prudenti e esperti
cittadini chiamati dalla Signoria e dai
Collegi loro e dal Consiglio dei Richiesti, i quali sono ottanta
uomini sempre dei primi della città, deputati a detta esamina
delle cose occorrenti, come
appare nella riforma del loro governo, la quale nuovamente hanno
fatta. E quanto più andrà innanzi questo Consiglio, tanto più la
città si purgherà dai
cittadini cattivi e stolti, e tutti saranno sforzati a viver
bene e farsi virtuosi per poter passare per questo Consiglio a
le amministrazione convenienti
allo stato loro; e non
passando a tale amministrazione se non uomini
sensati e degni, sarà la città
governata ottimamente e quanto al temporale e
etiam quanto allo spirituale. E non sarà affaticata e
affannata continuamente di varie dissensione di cittadini, per
le quale quanto danno si facci alla Repubblica ogni uomo il sa,
e i cittadini potranno stare a casa vivendo sicuri e faranno
fiorire la città e di virtù e di ricchezze, e nessuno
sarà sforzato a fare ingiustizia, ma tutti facilmente potranno
vivere bene come buoni e perfetti cristiani —.
Disse il Tentatore : — In effetto
queste tue escusazioni non
soddisfano agli animi di
molti, perché l'ipocrisia sa
troppo bene coprire le sue cose —. Risposi: — Io so che non si
potrà mai ben soddisfare a tutti gli uomini, perché "
non est, servus maior
domino suo ", Cum sit ergo che Cristo non
potesse errare, nientedimeno gli Scribi e Farisei non potevono
credere che lui non fosse un seduttore. Ma a me basta dimostrare
che questi che indicano del mio cuore non abbiano fondamento per
alcuno segno esteriore e che le loro parole e i giudizi loro
procedino da cattiva radice. Ma io, benché mi conosca peccatore,
posso bene addurre qualche ragione e buon fondamento a
dimostrare che le nostre cose non procedono da malizia, come
sono calunniato, avendo già dimonstrato che non procedono da
ignoranza. Prima perché Dio non può essere testimone della
malizia né quella aiuta, anzi la reproba e sempre la va
infirmando. E chiaramente si vede dalle
predicazione che abbiamo fatte due cose, le quali
non possono essere se non da Dio, il quale per esse dimostra
questa dottrina procedere da lui e
non da umana malizia: la prima è che
una grande parte delle cose preannunciate si sono verificate e
adempiute ad unguem insino al minimo iota; la
seconda è la mutazione del popolo fiorentino, il quale s'è per
tal modo mutato dal mal vivere al ben vivere, che pubblicamente
ogni uomo confessa che a memoria di uomo vivente non si è veduta
tale mutazione in lui né in numero né in merito così negli
uomini come nelle donne; e oltra questo, il reggimento della
città per mezzo di queste nostre predicazione ha mutata forma,
il che ogni uomo reputava impossibile. E qui si potrebbe
aggiugnere molte cose miracolosamente seguite nella città, le
quale lasciamo per brevità. Prae-terea,
essendo Dio padre giusto e buono di tutti gli uomini, verosimile
cosa è che più presto illumina i buoni che i cattivi, e lascia
piuttosto incorrere in errore i cattivi che i buoni. Seguitando
dunque questa dottrina nella città di Firenze tutti gli uomini
buoni e impugnandola uomini di mala vita o almeno non di buona
fama, quale deve avere uno buono cristiano, non è verosimile che
la sia uno errore procedente da malizia. Praeterea non è
verosimile che questa malizia in tanti anni non fosse oramai
scoperta e stata conosciuta dagli uomini, per la maggior parte
stando io continuamente in Firenze e essendo i Fiorentini uomini
astuti e curiosissimi in simile cose più di tutti gli altri e,
che è ancora più, essendomi state fatte molte insidie e finte
molte infamie dai cattivi, etiam con fingere
scomunicazione e lettere contraffatte, e così da religiosi come
da secolari e preti e d'ogni stato. Certo certo se nelle
nostre predicazione fosse stato
errore e malizia, non arebbe potuto stare ascosa insino a questo
giorno; ma la verità, la quale negli affanni cresce e nella
guerra diventa sempre più gagliarda, perocché più si manifesta,
ha superato ogni cosa e sempre è più cresciuta, così che ora ha
più forza che mai —.
Disse il Tentatore: — Finalmente io
ti dirò il vero: a me parrebbe che tu attendessi a predicare dei
vizi e delle virtù, come fanno gli altri predicatori, e tenere
il modo del predicare che tengono gli altri e non essere singolare,
perocché questo preannunciare le cose future non fa frutto nelle
anime e pare più presto una ostentazione che altro —. Risposi
che per gli effetti si conoscono le cause. Conciossia dunque
che, come abbiamo detto, di queste predicazioni
e modo di predicare ne sia uscito grandissimo frutto nelle
anime, come si sa manifestamente, appare che questo modo e
queste preannunciazioni non sono inutili,
come voi dite, anzi molto fruttuose, perché inducono gli uomini
a penitenza e preparano gli eletti di Dio a sostenere con
pazienza le tribolazione
future. Perché tela praevisa minus feriunt. E
benché ogni uomo non si converta a penitenza, nondimeno gli
eletti, per i quali sono preannunciate queste cose, faranno gran
frutto, sicut scriptum est: "
Ostendisti popolo tuo dura; potasti nos vino compunctionis.
Dedisti metuentibus te significationem, ut fugiant a facie
arcus, ut liberentur dilecti lui ". E se gli altri non
crederanno, gli eletti, per la utilità dei quali sono queste
cose preannunciate, crederranno loro, sicut scriptum est:
" Crediderunt
omnes quotquot
praeordinati erant ad vitam aeternam ".
Avendo dunque io consumato gran tempo
in questa disputazione col Tentatore, voltandomi alle compagne
nostre, vidi che ragionavano insieme e sorridevano
dei fatti miei; e, rivoltandomi a loro, dissi: —
Qui sunt sermones quos conuertis adinvicem et estis laetae?
—. Risposono: — Perché ci pare che tu non conosca con chi tu
parli —. Allora io mi accostai a madonna Orazione e dissi: —
Madonna, piacciavi dirmi chi è costui —. Rispose: — Tu sei
entrato in disputazione di sapienza umana, la quale è una stoltizia
appresso Dio, e però tu non hai conosciuto costui, che ha tanto
disputato teco; ma accostati un poco a madonna Semplicità,
perché lei conosce tutte le astuzie del Nemico: e da essa
intenderai quello che desideri —. Accostandomi dunque a lei, mi
furono immediatamente aperti
gli occhi e conobbi l'eremita
non esser monaco, ma il Tentatore della umana natura; e
raccolsimi insieme con tutte quattro le nostre compagne e dissi:
— Malvagio Satana, la tua astuzia, con la quale tu cerchi di
pervertire il cuore dei semplici e alienarli dalla fede, non ti
gioverà nulla, perché sarà con noi la mano di Dio valida e farà
crescere la opera sua: e tu con gli angeli tuoi rimarrete
confusi —. Per le quali parole
sparve e partisse da noi con
grandissime strida. E così pacificamente seguendo il cammino
nostro, arrivammo alla porta del Paradiso, il quale era cinto
intorno intorno di uno muro altissimo di pietre preziose e
sembrava che circondasse tutto
lo universo mondo, sopra del quale intorno erano angeli che
li guardavano e cantavano dolcissimamente
quel che è scritto in Esaia al XXVI capitalo : —
Urbs fortitudinis nostrae Sion; salvator ponetur in ea murus et
antemurale —. E in quello istante picchiammo la porta, e
loro soggiunsero : —
Aperite portas et ingredietur gens insta,
custodiens veritatem —. E le nostre compagne risposono,
voltando gli occhi al cielo: — Ve tus error abiit:
servabis pacem, pacem, quia in te speravimus —. E gli angeli
con dolce voce replicando dissero: — Sperastis in
Domino in saeculis aeternis, in Domino Dea forti in perpetuum:
e però non temete che i vostri
desideri seranno adempiuti e la superbia del mondo
rimarrà confusa, quia incurvabit habitantes in
excelso, sublimerà civitatem humiliabit.
Humiliabit earn usque ad terram, detrahet eam
usque ad pulverem. Conculcabit eam
pes, per pauper is, gressus egenorum —. E in queste parole
sentimmo aprire la porta e cantare dentro: —
Semita insti recta est, rectus
callis insti ad ambulandum —. E noi, voltandoci a Dio,
rispondemmo: — In semita iudiciorum tuorum,
Domine, substinuimus; nomen tuum
et memoriale tuum in desiderio animae —. Io allora per le
cose udite fortemente eccitato in fervore, elevai la voce e
dissi: — Anima mea desideravi te in nocte, sed et
spiritu meo in praecordiis meis de mane vigilabo ad te. Cum
feceris indicia tua in terra, iustitiam discent habitatores
orbis —. Ditte queste parole, statim
fu aperta la porta e fummo illustrati d'uno grande splendore, e
vedemmo cose inenarrabili, delle
quale parte ne riferiremo nel nostro
processo.
Prima che noi entrassimo, fecesi
incontro santo Iosef, sposo e
custode di quella immacolata Virginità alla quale noi andavamo
per avere risposta della nostra ambasceria; il quale, avanti che
ci introducesse, disse: — Dominus vobiscum —,
e noi rispondemmo: — Benedicat libi Dominus —,
e dicemmo: — Padre santo, avendo la sposa vostra Vergine e Madre
di Dio, il dì della solennità della sua Annunziazione, accettato
lo officio di essere avvocata dei Fiorentini per recuperare le
promesse le quali avevano
perse per i loro peccati, ed
essendoci stato annunciato fra la ottava che noi avremo
buone novelle, non sapendo noi le particolarità,
siamo ritornati in questa notte della ottava per intendere il
tutto e per potere significarlo al popolo e domattina dargli
questa buona nuova; e abbiamo con esso noi portato questo bello
presente —. E quivi scopersi una bellissima corona, la quale
portava la santa Semplicità, la forma della quale è questa.
Erano tre circuli,
ovvero tre corone insieme legate l'una sopra l'altra, così che
la superiore era minore della inferiore. La prima corona, ovvero
il primo circolo e maggiore,
era fatto di dodici pietre preziose verdi
come è il iaspide, e la forma di ciascuna era come un cuore
umano, e coniungevansi insieme nella parte inferiore e più larga
di ciascuno, così che le punte dei cuori erano di sopra come le
cornette d'una corona; e nel fondo di ciascuno era scritto un
versetto del cantico di Zaccaria, Benedictus
Dominus Deus Israel eccetera, quasi come uno fregio che
legava quei dodici cuori, così come sono dodici i versetti del
predetto cantico. Deinde intorno a ciascuno, cominciando
dall'una parte della base e girando verso la punta e ritornando
all'altra parte della base, era scritta la " Ave Maria ", così
che appunto in mezzo del cuore era scolpito il nome di Iesù
molto risplendente; e sopra la punta di ciascuno era una perla,
con una banderuola piccolina elevata sopra la perla, di colore
verde; nelle quale banderuole erano scritti dodici privilegi
della Vergine con parole deprecatorie, i quali sono questi. Due
per relazione al Padre Eterno : il primo " Sposa di Dio Padre
vera ", perché Dio Padre e lei hanno uno medesimo Figliuolo; il
secondo " Sposa di Dio Padre ammiranda ", perocché così come ci
Padre generò ab aeterno il suo Figliuolo in
cielo senza madre, così lei generò poi in terra quel medesimo
Figliuolo senza padre. Dovuti
altri per relazione al Figliuolo: primo " Madre di Dio", secondo
" Madre del suo padre "', perocché Iesù Cristo, suo Figliuolo, è
Dio creatore dello universo, il quale ha lei creata. Due
per relazione allo Spirito
Santo : primo è " Sacrario dello
Spirito Santo singolare ", perché da lui lei fu piena
singolarmente di tutte le grazie; secondo " Sacrario ineffabile
"', perocché lo Spirito Santo
la fece idonea ad esser madre del Creatore dello universo. Dovuta
per relazione alla sua virginità: primo è " Vergine delle
Vergine ", perocché nessuna altra Vergine a questa si può
comparare, la quale non fu maculata d'alcuno peccato né veniale
né mortale; secondo è " Vergine fecunda ", perché lei sola è
Vergine e madre. Dovuta per paragone alla Chiesa trionfante e a
tutto l'universo: primo che
lei è " Regina sola del mondo ", perché è vera sposa e madre e
sacrario del Re del mondo, il quale è Dio trino e uno; secondo,
" Regina sopra tutte le creature onoranda": perché Dio è onorato
di onore di " latria ", il quale è onore che si da solo a colui
che è primo principio e governatore di tutte le cose; i beati
poi sono onorati di onore di " dulia ", il quale onore si da a
quelli che sono partecipi della beatitudine di Dio o per qualche
altra dignità grande tengono la persona di Dio; ma perché la
Vergine gloriosa oltre a questo è madre di Dio, è onorata molto
più altamente che tutti i santi, e di uno onore il quale si
chiama " iperdulia ". Dovuta ultimi per relazione alla presente
Chiesa militante : primo è " Dolcezza del cuore
dei giusti ", perché per lei
impetrano molte grazie da Dio, e il suo amore è più che il miele
e più che il favo suave, il quale mirabilmente fa caste le anime
e i corpi loro; secondo, che lei è speranza dei peccatori e
delle persone miserabile, perocché per gli preghi e meriti suoi
sperano impetrare da Dio misericordia. Questi dodici privilegi!
dunque erano scritti sopra quelle dodici bandierole in questa
forma: Sponsa Dei Petris
vera, ora prò nobis; Sponsa Dei Patris admiranda, intercede prò
nobis; e così seguitavano ancora tutti gli altri. Sopra
questo primo circolo era un altro circolo minore, di dieci cuori
di perle candidissime collegate
nel medesimo modo detto di sopra, e nel fondo di ciascuno era
scritto uno versetto del cantico d'essa Vergine Madre, cioè
Magnificat anima mea,
Dominum eccetera, il quale
contiene dieci versetti, così come erano dieci cuori; e intorno
intorno a ciascuno uno dei comandamenti della Legge; in mezzo
poi di ciascuno era uno rubino e nella sommità uno calcedonio, e
una banderuoletta bianca a ciascuno, ita
che erano dieci banderuole, nelle quale erano scritte dieci
petizioni chieste da noi e
dalla città di Firenze. La prima diceva : " In ogni cosa sia
sempre fatta la volontàdi Dio"; la seconda: "Innanzi a ogni cosa
vogliamo l'onor di Dio e la
sua gloria"; la terza: '"Chiediamo la rinnovazione della
Chiesa"; la quarta: ''Desideriamo la salute di tutti i fedeli ";
la quinta: " Preghiamo specialmente
per la salute delle anime nostre"; la sesta: "La remissione dei
peccati del popolo fiorentino,
i quali hanno impedite le promesse a loro fatte da Dio "; la
settima: " La rimozione e avversione
dei flagelli, i quali per questo loro hanno meritati"; la
ottava: "Copia di grazia e doni del Spirito Santo nella città di
Firenze"; la nona: " Abbondanza
di ricchezze e dilatazione di impero, per diffondere
queste grazie ancora negli altri popoli"; la decima e ultima : "
La restituzione di tutto ciò che a loro era stato promesso ".
Sopra la quale corona seconda erane
una altra piccolina, di quattro cuori di pietra preziosa
chiamata carbunculo, nel fondo dei quali era scritto il cantico
di Simeone, cioè uno versetto per ciascuno cuore, e intorno a
ciascuno era scritto uno dei quattro evangelisti; in mezzo era
una croce che lampeggiava. Nella sommità dei
quali era uno topazio a ciascuno, con
una bandieruola che sembrava una
fiamma di fuoco; e sopra la prima era scritto : " Noi domandiamo
per la città di Firenze la custodia degli angeli "; e sopra la
seconda era : " Noi chiediamo governo di perfetti prelati ";
sopra la terza: "Chiediamo la dottrina dei santi predicatori ";
sopra la quarta era: "Noi domandiamo moltitudine di clero
fervente, preti e religiosi di santa vita ". E sopra questa
coronella era un cuore composto mirabilmente di molti cuori
piccolini di diversi colori, per tal modo congiunti e collegati,
che di tutti insieme era fatto un solo cuore, intorno al quale
era scritto: "Hoc est praeceptum meum, ut
diligatis invicem sìcut dilexi vos. In hoc cognoscent omnes quod
mei estis discepoli, si dilectionem habueritis adinvicem ".
E nella sommità del cuore era uno bellissimo smeraldo, intorno
al quale era scritto : " Est eis cuor unum et
anima una in Domino "; sopra del quale era uno
crocifisso piccolino con una bandieruola, nella quale era
scritto : " Fiat pax in virtù tua et abundantia in
turribus tuis. Propter fratres meos et
proximos meos loquebar pacem de te.
Propter domum Domini
Dei nostri quaesivi bona tibi ". Le quali
cose e corone erano collegate insieme, l'una sopra l'altra, con
raggi d'oro finissimo. Questo è dunque il presente il quale
intendiamo di presentare alla Maestà del Re Eterno per le mane
della gloriosa Vergine Madre per provocare la sua bontà a farci
misericordia e a restituirci le grazie promesse.
Disse allora Iosef: — Che
vuoi dire e che significa il mistero di questa corona?
—. Risposi : — Padre mio, io so che voi lo
sapete; nientedimeno a maggiore nostra consolazione voi chiedete
da noi la sua dichiarazione. Brevemente, questa è la corona la
quale ha fatta il popolo fiorentino alla Vergine Madre, madre di
Dio, sposa vostra, per impetrare le grazie già a lui promesse,
dicendo prima devotamente il cantico di Zaccaria o chi noi
sapeva dicendo Credo in Deum Patrem eccetera,
di poi dodici avemarie, di poi il cantico della Sposa vostra e,
ultimo loco, il cantico di Simeone Nunc dimittis
eccetera; la qual corona non solamente l'hanno
fatta con la lingua ma etiam col cuore e con
le opere. Dunque quella prima corona dei cuori verdi significa
gli incipienti, i quali sono nuovamente venuti a penitenza con
la viridità della fede (la perla è la loro buona coscienza), i
quali offrono il cuor loro e desiderano fare prefetto in vita
spirituale, come chiedono nei titoli delle bandieruole, pregando
per sé e per tutta la città. La seconda corona di perle
candidissime significa gli proficienti, i quali non solo hanno
purgata la coscienza dai
peccati, ma etiam dagli affetti terreni,
diligentissimi osservatori dei comandamenti di Dio, per il
rubino della carità che hanno in mezzo il cuore; il calcedonio
in sommità dei cuori significa le loro operazione calde d'amore
e gli esempi che danno al prossimo, per i quali molti peccatori
compunti tornano a penitenza, così come il calcedonio,
riscaldato dal sole o per altro modo, trae a sé la paglia; e
però sono fatti degni che le domande loro di quello che si
contiene scritto nelle banderuole siano esaudite. La terza
corona dei quattro cuori di carbunculo, il quale illumina la
notte e pare che arda, significa i
perfetti, i quali sono pochi ma tutti ardenti e d'amor divino
infiammati, osservatori non solo dei comandamenti ma
etiam dei consigli evangelici, e portano la
croce in mezzo il petto con desiderio del martirio per amor di
Cristo. Il topazio sopra i cuori, di colore d'oro purissimo e di
chiarità celeste, il quale
massimamente risplende tocco dai
raggi del sole e supera la chiarità
di tutte le gemme, significa le operazioni
e la dottrina loro irradiata dal Sole della giustizia, Cristo
Iesù : e però questi non chiedeno se non cose eccellenti
e spirituali. Il cuore di
molti cuori composto, che è nella sommità della corona,
significa la unione della carità di tutti i buoni e significa
etiam la pace universale nuovamente fatta tra
i loro cittadini fiorentini, la quale
non avendo voluto fare prima e essendosi Dio per questo adirato
con loro, doveva sottrarre
da loro le grazie promesse; onde, essendosi da loro fatta al
presente la pace a Dio grata, cercano riaverle. Lo smeraldo
significa la speranza di conseguir da Dio la viridità di vita
eterna e ancora nel tempo presente le grazie già promesse,
i raggi d'oro significano la unione e l'ordine che hanno insieme
nel loro operare e nelle loro orazione gli incipienti, i
proficienti e gli perfetti —.
Allora il santo vecchio Iosef
con lieto volto ci prese per la mano e, introducendoci dentro
dalla porta e quella serrando, disse: — Voi siate i benvenuti: e
state lieti, che così fia come v'è stato detto, cioè che voi
avrete buone nuove —. E elevando noi gli occhi,
vedemmo uno grandissimo prato tutto
pieno di diversi fiori di paradiso, nel quale erano da ogni
parte diversi rivi d'acque vive e stillanti
e chiare come cristallo e diversità di animali mansueti in
multitudine infinita, di agnelli bianchi come neve, di candidi
ermellini, di conigli e simili altri molti animaletti, i quali
tra i fiori e le erbe appresso le acque vive saltavano e giocavano
insieme con certo gaudio e giubilo
maraviglioso; arbori di diverse spezie, con foglie fiori e
frutti, sopra ai quali erano uccellini di diversi colori in gran
moltitudine, che cantavano dolcemente e volavano con grande e
ammirabile ordine da luogo a luogo. E in mezzo il campo vidi uno
trono, come è scritto nel III libro dei Re del trono di
Salomone, del quale dice la Sacra Scrittura :
Fecit Rex Salomon thronum de ebore grandem, et vestivit eum auro
fulvo nimis, qui habebat sex gradus; et summitas throni rotunda
erat in parte posteriori, et duae manus hinc atque inde tenentes
sedile, et duo leones stabant iuxta manus singulas, et duodecim
leunculi stantes super sex gradus hinc atque inde. Non est
factum tale opus in universis regnis. Sopra il quale trono
sedeva una bellissima e graziosissima donna, in grembo
della quale era uno bambino più risplendente che il
sole; e sopra il capo loro, quasi tra il cielo e la terra, era
uno lume maraviglioso con tre facce, il quale irradiava tutto lo
universo; e sembrava che molto si dilettasse
di riguardare a quella mirabile donna e di illustrarla del suo
lume più che ogn'altra cosa che io vedessi, facendo
a lei e al figliuolo suo gran festa e dimonstrandoli con certi
gesti tale letizia e giubilo
quale non è possibile a lingua narrare, sì che sembrava che ogni
giubilo e gaudio di quelle tre facce fosse in lei e nel suo
figliuolo. Grande moltitudine di ministri erano per ordine
intorno al trono, che era una cosa stupenda a vederli; e però
incontinente che noi vedemmo sì mirabil cosa, non potendo io
sostenere tanta luce, decidi
in faciem
meam e, confortato dallo
spirito e dalla guida nostra santo Iosef,
levandomi su e stando sopra i piedi miei, domandai ad essa
nostra guida d'essere illuminato del mistero di tanto
sacramento, e lui rispose graziosamente : — Questo è il mistero
della rinnovazione della Chiesa in tutto il mondo, la quale già
molti anni tu hai denunziata a gli uomini mortali. Le mura di
pietre preziose significano i dottori, predicatori e i prelati
pieni di ogni virtù, i quali difenderanno
la Chiesa in quel tempo. Gli angeli sopra le mura significano
che i prelati avranno
familiarità con gli spiriti angelici e siano
da loro illuminati e custoditi. La porta significa la Scrittura
del Vecchio e Nuovo Testamento, per la fede della quale entra
nella Chiesa Santa ciascuno fedele. i fiori per tutto il campo
sparsi significano che il mondo si empierà di tutte le virtù,
i rivoli delle acque sono le
grazie divine che allora abbonderanno,
come è scritto: " Omnes sitientes, venite ad aquas"
e " Qui sitit veniat ad me et bibat ",
et iterum " Qui vult, accipiat
aquam vitae gratis ", e " Qui Inherit ex aqua
quarti ego dabo ei, non sitiet in aeternum. Sed aqua, quam ego
dabo ei, fiet in eo fans aquae salientis in vitam aeternam
". Gli animaletti significano i cristiani della vita attiva,
che in quel tempo viveranno in tanta semplicità
che non si cureranno di ricchezze o di cosa temporale alcuna, ma
sempre saranno giubilanti tra
le virtu e grazie di Cristo. Gli uccellini significano i
cristiani e i religiosi della vita contemplativa, i quali
sopra gli arbori, idest sopra la altezza delle
virtù, canteranno le laude divine, volando con le ali
dello intelletto per i sacramenti della Chiesa e delle
Sacre Scritture, continuamente contemplando cose divine.
Quel magno trono con l'ordine dei ministri significa la Chiesa
trionfante, la quale sara
tanta letizia di tale rinnovazione, che, vedendo allora i
cristiani menare in carne angelica vita, non si
sdegnerà abbassarsi e conversare con loro non
solurn invisibiliter ma etiam visibiliter, come tu hai letto
dei santi della primitiva Chiesa. Quel lume con quelle
tre facce dimostra la Santissima Trinità, la quale illumina
tutto l'universo ma per più
speciali e singolari doni la umanità di Cristo e poi la Madre sua
gloriosa, la quale tu vedi sedere in su quel trono con
dimostrazione della incarnazione di Cristo, come significa la
presente solennità della sua Annunziazione; il qual trono
significa le virtù sua, le quale ha avute dal suo diletto
Figliuolo. L'avorio candido
significa la sua virginità purissima, perché è osso bianco
dell'elefante, animale
casto, e però dice la Scrittura : " Fece il re Salomone uno
trono di avorio grande ", e Salomone vuoi dir " pacifico ", e
però significa il nostro Salvatore, il quale portò la
vera pace in terra. La abbondanza dell'oro intorno al
trono significa la immensa carità di
essa Vergine Madre: però dice la Scrittura che lui vestì il
trono di oro finissimo. La sommità del trono, la quale era rotonda,
significa la contemplazione la quale lei doveva della divinità,
che non ha principio né fine. " Nella parte posteriore " dice,
perocché quando ella era in questa vita non vedeva Dio a faccia
a faccia, ma contemplavalo mediante le similitudine delle
creature, come fu detto da Dio a Moisès: Videbis
posteriora mea; faciem autem meam videre non poteris,
avvenga però che tu debba
credere che qualche volta lei vedesse in vita mortale la divina
essenza; ma io ora ti parlo secondo il corso comune della sua
vita. Il sedile del trono significa l'umilità,
la quale è fondamento di tutte le virtù. Le due
mani, le quali
sostengono
il sedile, sono la cognizione di Dio e la cognizione di sé
medesima; le quali cognizioni
quasi come due mani tengono salda la umilità. I
dui leunculi appresso quelle due mani significano la fortezza
nelle cose prospere e nelle avverse, la quale è data a l'uomo
per la umilità, i gradi per i
quali si ascende su a questo trono significano la diversità dei
meriti dei santi, sopra dei quali è la Vergine gloriosa. i
dodici leoncelli sopra questi gradi sono i santi del Vecchio e
del Nuovo Testamento, i quali la onorano, laudano e magnificano
tutti unanimiter; i quali a parte per parte,
secondo l'ordine di ciascuno, andrò manifestando: e vedrai che
non est factum simile opus in universis regnis
—.
Ragionando adunque noi in questo modo
e camminando verso il trono, ecco io vedo venire una
moltitudine innumerabile di fanciullini tutti vestiti di
bianco, con fiorellini piccolini piccolini candidi in mano e in
capo tutti odoriferi, i quali parevano piuttosto perle e
pietre preziose che fiori, e venivano cantando con
grande giocondità:
Laudate, pueri, Dominum;
laudate nomen Domini. Sit nomen Domini benedictum
eccetera. E dissi allora a Iosef: — Padre, chi son
costoro? —. Rispose: — Non hai tu letto in Zaccaria?
Plateae
civitatis Hierusalem complebuntur infantibus et puellis
Indentions in plateis eius. Questi sono i fanciulli i quali,
per la fede o per i sacrifici dei parenti loro nella legge della
natura o per la cir-concisione
nella legge scritta cominciando alla circoncisione
di Abramo o per la virtù del
battesimo nella legge della Grazia, si sono salvati; e
quelli più onorevoli ornati di piaghe risplendenti
e di fiorellini rossi sono i piccolini innocenti, i quali
furono uccisi da Erode per amore di Cristo —. Appropinquandosi
dunque essi a noi, li salutai e dissi loro: —
Adiciat Dominus super vos, o pueri sancti,
scilicet gloriam corporum vestrorum, super vos et super fratres
vestros —. Ed essi risposero:
— Benedicti vos a Domino, qui fecit caelum et
terram —, e dissero: — Voi mortali perché siete venuti a
noi immortali? —. Risposi che io ero ambasciatore dei
Fiorentini, e dichiarai tutto quello che io era ito a fare. E
loro : — Nisi conversi fueritis et efficiamini
sicut parvuli, non intrabitis in regnum caelorum —.
Risposi: — Omne
datum optimum et omne donum perfectum desursum est. E però
pregate per noi che così sia
—. Allora presero con le loro
sante mani di quei fioretti candidi e sparseli per tutta quella
corona, dicendo : — Questi sono le nostre orazioni,
le quale aiuteranno le vostre ad impetrare le grazie da voi
desiderate, e pregheremo che nella città di Firenze sia data
grazia da Dio che i fanciulli siano bene nutriti nella religione
cristiana e nello amore di Iesù Cristo Redentore, il quale, per
ineffabile sua bontà, degnò per nostro amore essere fanciullo —.
E così, rimasti alquanti di loro in nostra compagnia, gli altri
partiti da noi voltarono le
sante facce loro verso la Santissima Trinità e, inginocchiati a
quella, devotissimamente oravano.
E noi, camminando più oltre,
giugnemmo ai gradi del trono. E dinanzi al primo gradino vedemmo
sedere sopra quelle erbette e fiori, a modo di uno circolo
intorno al trono, grande moltitudine di uomini e di donne ornati
pieni di viole mammole piccoline e sì belle che pareano pietre
preziose. E dissi a santo Iosef:
— Qui sunt isti, domine mi? —. Rispose: —
Questi sono gli uomini santi e le sante donne che sono
religiosamente vissute in matrimonio. E però sono ornati di
viole mammole : perché, avvenga che siano stati nel governo
delle cose terrene, per lo impedimento delle quali
non si può l'uomo elevare tanto da terra come quelli che menano
vita continente, nondimeno come buoni cristiani non hanno posto
il loro affetto in terra, ma hanno dato nel mondo di virtù
grande odore: come la viola mammola, la quale, benché molto non
sia elevata da terra, è però molto piacevole e odorifera. Questi
che tu vedi sedere alla destra e alla sinistra in terra, al
primo grado, sono in questa tua causa speciali avvocati e
parleranno a te per tutti gli altri. Di questi alla destra l'uno
è santo Ioachin e l'altra è
santa Anna, l'uno padre e l'altra madre di Maria Vergine
gloriosa. Questi altri alla sinistra sono santo Zaccaria e santa
Elisabet, padre e madre di santo Ioanni
Battista —. I quali io
vedendo, con grande reverenzia li salutai e dissi: —
Adiciat Dominus super vos, super vos et super
filios vestros —. Risposono: — Benedicti
vos a Domino., qui fecit caelum et terram —. E esposto a
loro quel che io andavo a fare
e il mistero della corona, dopo molte dolce parole domandai l'auditorio
delle loro orazioni. E statim furono da loro
conteste due bellissime grillandette di viole mammole e
applicate alle base di due dei
primi cuori della nostra corona, e dissero: — Queste sono le
nostre orazioni, le quale vi
aiuteranno; e pregheremo Dio che dia tanta grazia nella città di
Firenze, che i loro matrimoni siano casti e immacolati
come richiede tale sacramento, il quale significa la unione di
Cristo e della Chiesa —. E levoronsi tutti e quattro per
seguitarci e darci auditorio,
e l'altra loro compagnia tutta si messe in orazione devotamente.
Essendo dunque noi per salire al
primo grado, vedemmo una altra moltitudine di uomini e di donne
più alta che la prima, ornati di viole bianche, le quale in
alcuni paesi si chiamano
garofili, molto piccoli e
gentili come pietre preziose.
E dissi a santo Iosef: — Qui sunt isti, domine mi?
—. Rispose: — Questi sono
uomini e donne i quali sono vissuti santamente in viduità o
castità, perduto il giglio della virginità: e però sono ornati
di viole bianche e non di gigli. Queste due, che siedono
l'una alla destra e l'altra alla sinistra, sono santa Anna
vidua, figliuola di Fanuel, e Maria Maddalena, speciale vostre
avvocate; le quali da tutta la
loro compagnia sono ordinate in vostro aiuto —. Salutato dunque
che io ebbi quelle e domandate
le loro orazioni e prima
esposto quel che io andavo a fare nel modo già sopradetto, alla
destra e alla sinistra ci furono presentate due altre
ghirlandette di viole bianche e similmente applicate a
due altri di quelli primi cuori della
corona nostra, dicendo: — Queste sono le nostre orazione, per le
quale noi preghiamo che Dio doni alla città di Firenze il dono
della castità a i vedovi e alle vedove e a ciascuno che in
qualunche modo ha perso il giglio odorifero della virginità —.
E, posta tutta la loro compagnia in orazione, santa Anna e santa
Maria Maddalena seguitorono le vestigie nostre.
Nel secondo grado poi vedemmo intorno
al trono un'altra multitudine assai più alta, ornata di gigli
candidissimi piccoli e sì belli, che pareano pietre preziose; e
domandando io: —
Qui sunt isti, domine mi? — rispose Iosef: — Questi sono i
virgini e Vergini; e alla
destra e alla sinistra del grado siedeno
santa Caterina martire e santa
Caterina da Siena, vostre specialissime
avvocate —. Le quale salutate come di sopra e similmente
domandate le loro orazione, applicarono
due belle ghirlande di gigli piccolissimi e mirabilmente
odoriferi, promettendo che pregherebbono il magno Dio che in
Firenze i virgini e le Vergini
ser-vasseno e dedicassero
perfettamente a Cristo la loro virginità immacolata. E,
seguitandoci le due Caterine, rimasero
tutte le altre in orazione.
Nel terzo grado sedevano santo
Zenobio e il beato Antonino da Firenze, padri della città; e
intorno intorno al trono nella altezza di questo grado era il
sacrato numero dei dottori della Chiesa, ornati tutti di
bellissimi fioralisi piccoli e, come abbiamo detto degli altri,
sì belli che pareano proprio pietre preziose. E avendo io inteso
chi loro erano e che erano di tali fiori ornati per la
contemplazione significata dal colore celeste dei predetti
fiori, ci proffersono ancora loro similmente
le sue orazioni in due
ghirlande dei detti fiori fatte da loro e poste a due
dei detti fiori, pregando Dio
che alla città di Firenze mandasse santi pastori, illuminati
dottori e ferventi predicatori.
Nel quarto grado vedemmo una grande
moltitudine di uomini e di donne che parevano uccisi e erano
vivi, pieni di piaghe splendide e refulgenti
come stelle, ornati tutti di rose rosse piccoline tutte
vermiglie e molto belle, in modo che, come è detto, pareano
quasi pietre preziose. E io, maravigliandomi di questa squadra,
dissi a Iosef: — Qui sunt isti, domine mi? —.
Rispose: — Hi sunt qui venerunt ex magna
tribulatione et laverunt stolas suas in sanguine Agni —. dei
quali santo Stefano sedeva alla destra del grado e santo
Sebastiano alla sinistra; i quali salutati e pregati, come di
sopra è detto, due altre ghirlande di roselline rosse appiccheremo
a due dei detti cuori della
corona, dicendo : — Queste sono le orazione della nostra
compagnia, e tutti pregheremo per la restituzione delle grazie
promesse e che Dio faccia i Fiorentini così ferventi che possino
per amor di Cristo patire il martirio —.
Nel quinto grado vedemmo poca gente,
ma di tale valore, che parca
che superasseno in virtù tutti gli altri. E domandando: —
Qui sunt isti, domine mi?
— rispose Iosef: — Isti sunt viri sancti,
quos elegit Deus in caritate
non fida, et dedit illis gloriarti, sempiternam; quorum doctrina
fulget Ecclesia, ut sole luna; candidiores nive, nitidiores
lacte, rubicundiores ebore antico, saphiro
pulchriores. Questi sono gli apostoli santi e gli
evangelisti, dei quali santo Giovanni, diletto discepolo di
Iesù, sede alla destra e santo Marco, vostro patrone, alla
sinistra, vostri speciali avvocati —. E questi tutti erano
ornati di roselline gentilissime
incarnate proprio come pietre preziose, per essere loro
candidissimi di purità e rubicundi del divino amore e odoriferi
d'ogni virtù; e questi ancora loro, da poi la salutazione e le
parole, posero ai detti cuori
della corona due ghirlandette di rose incarnate, pregando che
Dio desse a Firenze e ai suoi cittadini tanta grazia che in lei
e per loro si rinovasse la
vita apostolica e uno vivere perfetto come nella primitiva
Chiesa. E così i dodici verdi cuori furono ornati ciascuno di
una ghirlanda. Nessuno creda che i fiori delle predette
ghirlande fossero della grandezza di questi nostri quaggiù;
anzi, perché i significavano le loro spiritualissime orazione,
erano tanto piccolini e tanto gentilini e le ghirlande con tanto
mirabile artifìcio composte, che, essendo intorno intorno alla
corona, non dipendevano tanto
che avessero punto coperto o confuso il volto di chi la avesse
avuta in capo, ma piuttosto gli avrebbono
fatto alla fronte e intorno a tutto il capo uno gentile
ornamento, a modo di uno fregio intorno intorno alla corona.
Salendo poi al sesto grado, vedemmo
moltitudine di uomini venerandi ornati di palme; e, domandando
chi erano, fu risposto quelli essere i patriarchi e profeti del
Testamento Vecchio. Belli quali alla destra di esso grado sedeva
santo Giovanni Battista, precursore del nostro Salvatore, specialissimo
patrono della città di Firenze; alla sinistra David profeta con
la citara, il quale cantava: Confitemini Domino
qu-niam bonus, quoniam in saeculum misericordia eius. Dicat nunc
Israel quoniam bonus etc. E questi tutti, come di sopra
salutati, etiam loro presero
due ramicelli di palma
gentilissimi pieni di datteri molto piccolini, i quali pareano
pietre preziose bellissimi
posti in su quelli ramicini
che pareano fatti di smeraldo, e appiccoronli alla detta corona,
sino alla destra e uno alla
sinistra, dicendo: — Noi pregheremo Dio per voi che, così come
la palma ha poca radice in terra e bella come
inverso il cielo, così Dio conceda grazia alla città di
Firenze, che tanto amino le cose celesti
che delle terrene non taccino stima se non quanto è necessario
alla vita mortale —.
Essendo dunque sopra
tutti i gradi saliti, venne d'incontro
una gran moltitudine di speciosissimi
giovani, i quali avevano in mano certe coronelle circondate
di brevi, ovvero cartine
piccoline, scritte e legate
con fili d'oro, e parca che di
quelle uscissero fiamme di
fuoco. E dissi a santo Iosef: — Qui sunt isti,
domine mi? —. Rispose: — Questi sono gli angeli governatori
delle anime degli uomini e delle donne della città fiorentina,
della quale tu sei ambasciatore, i quali uomini e donne hanno
fatte orazione per questa causa e hanno detta la corona delle
dodici ave-marie; e ciascuno angelo porta la corona di quella
anima che esso governa. E quei brevi scritti significano le
parole e i concetti e le domande espresse nelle orazioni.
Le fila d'oro significano la carità; le fiamme significano il
fervore di essa carità, col quale hanno fatte le prefate
orazione —. Intra i quali angeli appropinquandosene uno che si
mostrava a me più che gli altri assai familiare, disse così sorridendo
a santo iosef
: — Che va facendo qua questo mortale, fra noi, uomo peccatore?
—. E risguardandomi Iosef allora con faccia lieta, presi animo a
domandarlo e dissi: — Quis est iste, domine mi?
—. Rispose: — Non sai tu chi è costui? —. E io dissi: —
Nescio, domine mi —. E lui sorridendo
disse: — Tu sei smarrito per le parole sue,
e questa è la cagione che non lo riconosci —. Allora, pigliando
animo e risguardandolo, conobbi che era lo angelo che sempre è
meco e sempre mi governa. E dicendomi lui: — Come hai tu mai
tanto ardire a stare tu, peccatore, tra questi cuori celesti
immacolati? —, io risposi: —
Io non avrei già
tanto ardire, se il Signore vostro e
nostro non fosse stato per noi crocifisso.
Voi angeli non potete gloriarvi che Dio sia angelo, come ben noi
possiamo gloriarci che Dio sia uomo, sicut
scriptum est: Nusquam angelos apprehendit, sed
semen Abrahae apprehendit
" —. In questi piacevoli ragionamenti desiderando io di
appropinquarmi al trono per salutare la gloriosa Vergine Madre,
considerando pure che io era mortale e vile peccatore,
inginocchiato in terra con le compagne mie,
in prima feci orazione a Dio per conseguire la sua misericordia
e la remissione dei miei peccati, e dissi: — Deus
misereatur nostri et benedicat nobis, illuminet vultum suum
super nos et misereatur nostri, ut cognoscamus in terra viam
tuam, in omnibus gentibus salutare tuum —. Allora tutti quei
angeli, insieme con quei santi i quali erano con esso noi venuti
e con tutta l'altra moltitudine rimasta intorno al trono, insino
a quelli santi bambini, inginocchiati in terra, con voce
dolcissime e con devotissimo affetto dicevano: — Confiteantur
libi popoli, Deus; confiteantur libi popoli omnes.
Laetentur et exultent gentes, quoniam iudicas
populos in aequitate et gentes in terra dirigis. Confiteantur
tibi popoli, Deus; confiteantur tibi popoli omnes: terra dedit
fructum suum —. E io allora con
le compagne mie rispondemmo : — Benedicat nos
Deus, Deus noster; benedicat nos Deus, et metuant eum omnes
fines terras —. E loro insieme con gaudio subiunsono : —
Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto —. E
noi: — Sicut erat in principio et nunc et semper
et in saecula saeculorum. Amen —.
Finita questa orazione, vidi elevare
la Vergine col trono al cielo e tanto in alto salire, che sparve
agli occhi miei. Onde io, non so come, rimasi in mezzo il
prato, con quella santa compagnia di quella
moltitudine dei beati, tutto sbigottito e come morto. Vedendo
questo, Iosef presemi per la mano e disse: — Non ti smarrire,
che tu hai a salire in uno più alto loco, nella via del quale ti
guiderà oramai lo angelo che ti governa —. E così lui mi lasciò
al suo governo. Continuando dunque la orazione e risguardando
inverso il cielo con desiderio grande di vedere quella Beata
nella cui avvocazione solo era posta la speranza nostra, vidi
subito aprire il cielo : e furono dimonstrati
agli occhi miei molto mirabili
cose, le quale a noi sarebbe al tutto impossibile a esplicare.
Credino gli uomini che, così
come egli è grande differenza nel conoscere una cosa
(verbigrazia Firenze) a vederla con l'occhio e non vederla, ma
quella leggere ovvero udirla narrare; così, e maggiormente, è
grande differenza vedere queste cose e leggerle o veramente
udirle e non vederle, perocché chi vedendo le conosce, conosce
ancor con esse molte, anzi infinite, circostanze particolari, le
quale è impossibile scrivere o narrare. E avvenga che queste
cose siano spirituali, sono
però a noi proposte mediante le corporali.
Le quali tutte hanno mistero;
ma, come è detto, non sarebbe possibile esplicarle tutte: e però
noi ne diremo tanto quanto parrà sufficiente al proposito
nostro.
Io vidi dunque sopra del capo nostro
nove cuori rotondi di angeli, l'un più bello e molto maggior che
l'altro, in modo che gli inferiori
benché fossero in gran
multitudine e circondassero
questo mondo tutto il quale è da noi abitato, nientedimeno il
cuore superiore a loro era più largo e di maggior moltitudine e
bellezza: e così di mano in mano il coro superiore era più
grande e più bello dello inferiore, come etiam
nei corpi naturali i superiori sono maggiori e più perfetti
degli inferiori, come appare negli elementi e nei corpi celesti.
Il primo cuore, dunque, a noi propinquo era tutto vestito di
verde pieno, e tutto ornato di smeraldi;
il secondo vestito di rosso e ornato di carbunculi; il terzo
vestito di azzurro e ornato di zaffiri; il quarto vestito di
candore, come di una acqua percossa dal sole, tutto ornato di
berilli; il quinto vestito di bisso e tutto di onici ornato; il
sesto vestito di broccato d'oro e tutto ornato di crisoliti; il
settimo vestito di verde chiaro e ornato di iaspidi preziosi; lo
ottavo vestito di chiarità
celeste, cosparso
di oro purissimo, ornato di topazio; il nono e ultimo e supremo
vestito di color rosso, come fiamme di fuoco, ornato di sardi .
E tutte le predette pietre preziose benché fossero
di colore simile al colore delle veste, nientedimeno
chiaramente appariva la loro distinzione, sì per il loro più
vivo e acceso e risplendiente colore, sì perché erano legate,
ovvero appiccicate, alle vesti
con mirabile artificio e ordine maraviglioso; e nei più degni
cuori era l'artificio delle
legature loro, ovvero dei castoni, più mirabili
e più gentili. E questo
mistero si trova tutto in Ezechiel profeta al XXVIII capitolo,
il quale, nel nominarli, comincia dai
cuori superiori dicendo:
Omnis lapis pretiosus operimentum tuum: sardius
topazius et iaspis; chrysolithus et onyx et berillus; saphirus,
carbunculus et smaragdus. Da poi vidi il trono della Vergine
Madre elevato sopra tutti questi nove cuori, vestita di sole e
tutta ornata dal capo ai piedi di tutte queste pietre preziose;
e doveva in nel suo santo grembo
il Figliuolo suo Iesù piccolino, più splendido che il sole e
ornato di tutte le pietre preziose incognite ai mortali: e era
così piccolino perché figurava, come abbiamo detto,
la festa della sua Incarnazione. Sopra ogni cosa era una
ammirabile luce e stupenda con tre facce, come di sopra dissi,
la quale illustrava quel trono della Vergine santa con tale e
tanta abbondanza di luce, che chi non vedessi quella luce
superiore, certo si crederebbe che lei fosse Dio. E di poi si
estendevano quei raggi nella faccia di tutti quelli ordini, che
parevano raggi come rivoli
d'acque vivente e chiari più assai che ogni cristallo quando è
dal sole percosso a mezzogiorno; dai
quali rivoli o raggi (che non
so come altrimenti nominarli, perché a ciò mi manca ogni
vocabulo) reverberati tutti i nove cuori e, ut
così dixerim, refrigerati e rinfrescati e
tutti di dolcezza d'amore etiam riscaldati,
erano in tanto giubilo e con tanta attenzione risguardavano
quelle tre facce, che lingua d'uomo non lo potrebbe narrare; e
non si potevono saziare di laudarle, cantando con grande
consonanzia di voce soavissime: — Sanctus,
Sanctus, Sanctus Dominus Deus exercituum. Benedictus qui venit
in nomine Domini: hosanna in excelsis —. E rivoltandosi poi
alla Vergine, dicevano: — Tu gloria Hierusalem, tu
laetitia Israel, tu honorificentia popoli nostri. Quia fecisti
viriliter et confortatum est cuor tuum, ideo et manus Domini
confortavit te, et eris benedicta in aeternum —.
Udendo io queste dolcissime voci
e vedendo sì mirabile luce, statim
cecidi in faciem meam, non
potendo sostenere sì fatto splendore. Ma confortommi lo angelo e
levommi da terra e io, roborato da lui, rimasi in piedi. Allora
mi rivoltai allo angelo e dissi: — Quid sunt haec
mirabilia, domine mi? —. Rispose:
— Questi sono gli ordini delle
gerarchie celeste, alle quali
è dato da Dio il governo del mondo: onde la prima gerarchia,
più propinqua a Dio, conosce l'ordine di questo governo in esso
Dio; la seconda lo conosce nelle cause e nelle ragione
universale; la terza nelle particolari. E però la prima
considera il fine del governo, la seconda dispone quello che
s'ha a fare, la terza poi lo esequisce. Nella considerazione del
fine tre cose sono necessarie : la prima è risguardarlo, ovvero
averlo dinanzi ai occhi, prima d'ogni altra cosa: e questo
appartiene ai Troni, i quali così si domandano perché sono
purissimi e tanto elevati, che, come troni o sedie, sono aperti
e parati a ricevere il Re Eterno e le sue illuminazioni
: e però sono vestiti di verde chiaro, come quelli che sono
pieni di pascoli della eterna
viridità, e ornati di iaspidi preziosi, i quali sono verdi e
tinti quasi come di fiori, e significano la loro purità. La
seconda cosa necessaria nella considerazione del fine è
pienamente conoscerlo, e
questo appartiene ai Cherubini, il nome dei quali è
interpretato '" plenitudine di
scienza ", perché loro sono
pieni di lume e sottilmente penetrano la luce della Deità: e
però sono vestiti di chiarità
celeste per la contemplazione, cospersa
d'oro per la sapienza, ornati di topazi, i quali significano la
moltitudine delle cose che loro conoscono; il quale è del
medesimo colore che sono i vestimenti loro, come di sopra è
detto. La terza è poi perfettamente amarlo, e questo appartiene
ai Serafini, il nome dei quali è interpretato " incendio ",
perocché tutti sono infiammati d'amore : e però sono vestiti
come di fiamme di fuoco e ornati di sardi, i quali sono pietre
preziose che hanno il color rosso. E così tu hai intesa la prima
gerarchia.
La seconda gerarchia dispone
universalmente quello che si ha a fare, e in tal disposizione è
di bisogno prima ordinare le cose, e questo appartiene a le
Dominazione, le quale così sono dette perché sono libere da ogni
servitute e non declinano dalla giustizia né per amore né per
odio, come fanno i signori temporali, i quali in molti modi sono
servi delle loro passioni: e
però sono vestite di broccato d'oro e ornate di crisoliti, i
quali hanno il colore aureo che quodammodo manda fuori certe
scintille ardenti, perché,
come l'oro è più prezioso di
tutti gli altri metalli, così la giustizia dei principi tra
tutte le virtù è più preziosa e scintilla opere nei loro
sudditi, le quale gli fanno ardere d'amore. Secondo, ordinate
che sono le cose, bisogna escludere il male che le potrebbe
impedire: e questo appartiene alle Virtù, le quali
così si chiamano perché senza timore ardiscono fare ogni gran
cosa: onde esse sono vestite di
bisso, il quale è tela sottilissima e candidissima, perché la
fortezza loro procede da gran purità e elevazione dalle
cose corporali, come si vede
nelle cose naturale, che quanto i corpi sono più puri e più
sottili, tanto sono etiam di maggior virtù; e
son di poi ornate di onici, i quali sono pietre preziose a
similitudine della unghia umana tra il bianco e rosso, perché da
questo ordine in giù cominciano gli angeli ministranti, i quali
vengono in ministero per la salute degli uomini; e i
quattro ordini superiori per la lor dignità non vengono a
ministrare, ma fanno solo quel che abbiamo detto; come
è scritto in Daniel profeta: Al ilia milium
ministrabant ei, et decies mihes centena milia assistebant ei.
Terzo, poi che sono universalmente disposile le cose e è ogni
impedimento escluso, bisogna commetterle alla gerarchia
inferiore e ordinarle a lei più particolarmente, e questo è
officio delle Potestate, quia omnis potestas a
Domino Deo est et quae a Dea sunt ordinata sunt: e però sono
vestite come di cristallo o d'acqua percossa dal sole, e di
berilli ornate, i quali sono del medesimo colore, perché allo
officio loro si richiede avere chiara notizia delle cose che
hanno a ordinare, la quale hanno per la illustrazione del Sole
Eterno. E così tu hai la seconda gerarchia.
La terza poi è esecutrice di quel che
dalla seconda è ordinato; nella quale esecuzione alcuni sono
come capitani e principali, i quali hanno cura delle provincie e
delle città: e questi sono i Principati, i quali sono vestiti di
colore celeste, cioè azzurro, e di
zaffiri ornati, che sono del medesimo
colore, perché sì come il cielo con le sue stelle è causa
universale delle cose inferiore, così questi sono capitani ad
eseguire il governo universale
del mondo. Alcuni hanno governo particolari di uno uomo, e
questi sono gli Angeli, inferiori a tutti gli ordini, i quali
governano le anime vostre particolarmente, così che ciascuna
anima ha uno angelo suo speciale governatore : e sono vestiti di
verde pieno e di smeraldi
ornati, i quali sono di tanta viridità, che loro
fanno verde l'aria che è loro
intorno, perocché gli angeli sono mandati a illuminare gli
uomini, i quali abitano nella aria di questo mondo, della
viridità dei pascoli eterni,
della quale conviene che tanto siano pieni, che loro
possine di quella circonfondere
gli intelletti umani. Alcuni sono medi tra i Principati e questi
Angeli, i quali hanno cura di quei uomini che non solamente
hanno a governare sé medesimi ma etiam gli
altri, come sono prelati, predicatori, dottori della Chiesa e
simili: e questi sono gli Arcangeli, i quali illuminano di cose
più segrete che non fanno gli Angeli, e però sono vestiti di
colore rosso e ornati di carbunculi, i quali sono tanto
rubicundi e risplendenti che
illuminano le tenebre: perché la carità li eccita ad illuminare
le nostre tenebre delle cose alte e divine. E così tu hai la
terza gerarchia.
Nelle quale cose tu dovresti notare
che nelle veste loro è il mistero e la significazione dello
officio, e nelle pietre preziose è significata la diversità
delle opere e della sapienza e della contemplazione. E dovresti
sapere che in questa innumerabile moltitudine
ciascuno ha officio particolare
e qualche proprietà che non ha l'altro; ma questo lasciamo,
perché le menti dei mortali
non sono di tale cosa capace. Tu dovresti ancora sapere che
tutte le perfezioni e virtù
che hanno gli inferiori, quelle medesime hanno ancora i
superiori; ma i superiori hanno qualche cosa più e in maggiore
eccellenza, i quali però, per la grandezza della carità che è in
questa patria, si sforzano di comunicare tutte le loro virtù e
illuminazione agli inferiori,
secondo la capacità di ciascuno. Sopra tutti questi ordini è la
Vergine gloriosa col suo Figliuolo, ornati di tutte queste virtù
e pietre preziose, ma in tanta eccellenzia che lingua umana non
lo si può narrare. La luce,
poi, di quelle tre facce significa la Santissima Trinità, la
quale eccede ogni cosa in infinitum e con i
raggi suoi e con la sua dolcezza fa giocondare
e giubilare tutta questa patria gloriosa, la quale mai non si
sazia di laudarla e magnificarla in saecula
saeculorum. Amen —.
Questa fu la dichiarazione dell'angelo,
il quale, dette queste parole, stette cheto. Né si deve alcuno
maravigliare se esso angelo, in dichiarare le proprietà e i
colori delle pietre preziose, paresse per avventura discostarsi
dall'uso dei moderni, perché
forsi potrebbe essere che il nome di qualche una d'esse pietre
si fosse in questi tempi mutato, e gli angeli parlano agli
uomini secondo la qualità di ciascuno: e però l'angelo mio,
sapendo che io ero alquanto esercitato nelle Sacre Scritture e
nelle esposizione degli antichi e santi
dottori, i quali in quel modo che ho
detto trattano di queste pietre, mi parlò di quelle secondo la
loro esposizione.
Avendo dunque io udito e visto sì
mirabil cose, ero tutto pieno di stupore non solamente per la meraviglia
della lor grandezza, bellezza e ordine meraviglioso,
ma molto più della gran carità di quelli verso di noi,
considerando la loro eccellenzia e la nostra bassezza, della
quale non si sdegnano, anzi non pare che abbiano altra cura che
della nostra salute, e pare che tutte le delizie loro sia essere
con gli figliuoli degli uomini; pure, ripensando poi le Sacre
Scritture, non me ne meraviglio,
dacché del loro Signore è scritto: Delitiae meae
esse cum filiis hominum. Stando io dunque in questa
contemplazione, vedo elevare in alto tutti i santi i quali avevo
visti nel prato intorno al trono, e salire tra gli ordini degli
angeli ciascuno al luogo suo con grande reverenzia e gentilezza;
e non rimasono con esso noi se non quelli santi i quali, da me
di sopra nominati, mostrammo essere venuti in nostra compagnia,
e così ancora gli angeli che avevano in mano le coronelle di
sopra descritte. Dunque, vedendo io il trono della Vergine tanto
alto, voltatomi a quella santa
compagnia e dissi: — Voi potete senza scala salire al trono, ma
io, misero, come farò? Quia corpus quod
corrumpitur aggravat
animarti —. E dicendo
questo, apparve una scala dal trono infino a terra mirabilmente
per le mani angelice preparata, e l'angelo mio rispose: — Ecco
la scala per la quale tu hai a salire non solamente col corpo,
ma etiam con
la mente, di virtù in virtù, sicut scriptum est:
" Ibunt de virtute
in virtutem, videbitur Deus deorum in Sion " —.
Cominciammo dunque a salire io per la
scala e quella nobile compagnia intorno a me senza scala, e,
arrivando al primo coro degli Angeli, li salutammo in questo
modo: — Laudate, pueri, Dominum; laudate nomen
Domini —. Risposono: — Sit nomen Domini
benedictum, ex hoc nunc et usque in saeculum —. E noi
replicammo: — A solis ortu usque ad occasum
laudabile nomen Domini —. E loro risposono: —Excelsus
super omnes gentes Dominus, et super caelos gloria eius —. E
noi: — Quis sicut Dominus Deus noster?
Qui in altis habitat et humilia respicit in caelo
et in terra, suscitans a terra inopem et de stercore erigens
pauperem, ut collocet eum cum principibus, cum principibus
populi sui —. E loro: — Qui habitare facit
sterilem in domo matrem filiorum laetantem —. E noi: —
Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto —. E
loro: — Sicut erat in principio et nunc et semper
et in saecula saeculorum. Amen —. Cantato a questo modo il
salmo, mi domandorono quello che io andavo faccendo. Risposi che
io ero ambasciatore dei Fiorentini e che io andavo al trono
della Regina dei cieli per
sapere che buone nuove avessi a riportare al popolo suo, del
quale ella era speciale avvocata; e mostrai loro la corona,
dicendo quella essere le orazione di tutto il popolo, adornata e
confortata da tutti i santi del Paradiso, pregandoli che ancora
loro si degnasseno di aiutarci adornare la detta corona delle
loro orazione. Risposono : — Vorremmo sapere che cosa vorresti
da noi particolari —. E io risposi: — Che voi, insieme con
questi altri angeli vostri compagni, che sono qui con noi,
pregaste Dio che le persone,
le quale voi avete in governo nella città di Firenze, vivine
bene e menino vita angelica mediante il ministero vostro —. E
ditte che io ebbi queste parole, spiccoronsi dalle sedie del
coro loro dodici angeli da dodici parte, dei quali ciascuno
aveva uno smeraldo in mano; e
circondarono
il primo circolo della corona, distinto, come di sopra è detto,
in dodici cuori, e a ciascuno dei cuori appiccorono uno dei
predetti smeraldi
nella sua parte inferiore, con tanta destrezza che non
guastorono niente dei primi ornamenti, anzi gli dettero
maggiore splendore e più bello ordine; e dissero: — Queste sono
le nostre orazione a noi da te domandate —, cantando soavissimamente
il primo versetto del salmo XIX, cioè: Exaudiat te
Dominus in die tribulationis, protegat te nomen Dei
Iacob.
Fatto questo, partimmoci e arrivammo
al coro secondo, e similmente salutato quello e laudato Dio,
come del primo è detto, chiedemmo le loro orazione, che
pregassero che nella città di Firenze i padri di famiglia, i
parrocchiani e i prelati, e altri simili, dei quali loro hanno
governo, fossero buoni e santi
e che reggessero bene i loro
subietti. E dette le parole, dodici di quelli Arcangeli,
levandosi dalle sedie del coro loro da dodici parte, ancora loro
appiccarono a mezzo i predetti
dodici cuori della corona nostra dodici carbunculi preziosi, per
i quali il nome di Iesù, scritto,
come dicemmo di sopra, in mezzo dei
cuori, mirabilmentre transpariva e risplendeva; e dissero: —
Questi significano le nostre orazioni
—; e sottogiunsero il secondo
versetto del salmo predetto dagli angeli cominciato, cioè
Mittat libi auxilium de Sancto, et de Sion tueatur
te.
Nel terzo ordine poi salimmo e, fatte
le cerimonie sopradette, dicemmo che pregassero
Dio che mandasse alla città di Firenze tanto spirito che i
vicariiloro, Podestà, Capitani e altri officiali fossero
uomini integri e giusti, e che
governasseno i popoli loro religiosamente con ogni giustizia.
Accettorono di fare tutto questo, e dodici di loro, come gli
altri di sopra, attaccorono dodici zaffiri nelle sommità dei
dodici cuori della corona, dicendo il terzo verso del salmo : —
Memor sit omnis sacrificii tui, et holocaustum
tuum pingue fiat —.
Il quarto ordine similmente da noi
visitato e pregato che ci aiutasse con orazione e che pregassero
Dio che concedesse a Firenze
buoni magistrati simili a loro, i quali ordinassero
bene tutte le cose appartenente alle virtù e a i buoni costumi,
e offrendosi loro e promettendo pregare, mandorono dieci di loro
al secondo circule della corona, distinto in dieci cuori, nel
fondo dei quali appiccorono dieci berilli, dicendo il quarto
versetto: — Tribuat tibi secundum cuor tuum, et
omne consilium tuum confirmet —.
Alle Virtù poi nel quinto coro fatte
le debite reverenze, dicemmo : — Pregate Dio che i magistrati di
Firenze ordinati a punire i cattivi siano tutti ripieni di
Spirito Santo, acciocché senza timore, per zelo di giustizia, li
puniscano, e che gli innocenti
possine vivere sicuri —. E accettorono volentieri, e dieci di
loro appiccorono dieci onici preziosi in mezzo ai dieci cuori
della corona, dicendo il quinto verso del salmo: —
Laetabimur in salutari tuo, et in nomine Dei nostri
magnificabimur —.
Nel sesto coro salutate con gran
reverenza le Dominazione e fatte le parole come di sopra,
dicemmo che pregassero Dio che
i cittadini fiorentini fossero
tali, che si potesse sempre fare una Signoria di uomini sapienti
e giusti, i quali
riguardasseno principalmente l'onore
di Dio e la salute delle anime, e poi il ben comune temporale
della città e di tutto il lor governo. Dunque accettando di fare
questo, dieci di loro appiccarono
in sommità dei dieci cuori della corona dieci crisoliti, dicendo
il sesto versetto del salmo: — Impleat Dominus
omnes petitioner tuas; nunc cognovi quoniam salvum fecit Dominus
Christum suum —.
Visitato di poi il coro settimo,
similmente lo pregammo che ci aiutassero
a impetrare da Dio che rinovasse
la purità e la semplicità negli religiosi e nelle religiose di
Firenze, e accettorono, e promisero
lietamente farlo. Onde quattro di loro appiccarono
quattro preziosi iaspidi al fondo dei quattro cuori del terzo
circolo della corona, dicendo l'altro versetto del salmo: —
Exaudiet illum
de caelo
sancto suo in potentatibus salus dexterae eius —.
Da poi lo ottavo coro con reverenza
visitato e, come degli altri è detto, salutato, pregammo che
facesse orazione a Dio che mandasse a Firenze molti santi
illuminati delle Sacre Scritture e pieni di vera sapienza, dai
quali potesse il popolo fiorentino avere nelle sua difficoltà
ottimi consigli; e, accettato che ebbero,
quattro di loro posero in
mezzo dei quattro cuori d'esso terzo circolo della nostra corona
quattro topazi, dicendo il verso seguente del salmo, che è lo
ottavo, in questo modo: — Hi in curribus et hi in
equis, vos autem in nomine Dei nostri invocabitis —.
Tandem al nono coro
e supremo dei Serafini arrivati, salutammoli come di sopra e poi
dicemmo loro che pregassero
Dio che concedesse a Firenze e a tutta la Chiesa prelati santi e
predicatori tutti pieni di fuoco di carità e Spirito Santo, i
quali infiammassero tutti i
popoli dello amore di Cristo. Accettato che ebbero
la nostra proposta, poseno quattro di loro alla sommità dei
quattro cuori della corona quattro sardi, con grandissima
gentilezza dicendo il nono verso del salmo in questo modo: —
Ipsi obligati sunl et ceciderunt,
vos autem surrexistis et erecti estis —.
E essendo noi ancora lungi dal trono
della Vergine esaltata sopra tutti i cuori, con gran fiducia
confortati da tante orazione e tanti meriti, andavamo inverso
lei; la quale, vedendoci andare, chiamò uno dei Serafini e
dettegli una piccola ghirlandina gentilissima di varie pietre
preziose fatta con ammirabile artificio, e disse lui: — Va,
porta questa sopra quel cuore ultimo che è posto in sommità
della corona, e di' che queste sono le orazione che io ho fatte
per la città di Firenze —. E poi, voltandosi a Dio, disse il
versetto che restava del
salmo: — Domine, salvimi fac regem et exaudi nos
in die, qua invocaverimus te —. Il nostro Salvatore Iesù
piccolino nel santo gremio suo chiamò il primo di tutti gli
Serafini e dettegli una pietra sopra tutte preziosissima, rossa
e più resplendiente che il sole, e disse: — Questa è la mia
Passione, la quale io ho offerto
al Padre mio perché lui facci misericordia e grazia al popolo
fiorentino. Portala e ponila sopra quello crocifisso
che è posto sopra quello ultimo cuore della corona e di:
Gloria Patri et Filio et Spiritito
Sancto sicut erat in principio et nunc et semper et in saecula
saeculorum. Amen —.
Non fu mai vista sì mirabil cosa né
più gentile presente di questo. E però, confortato io da tanti
meriti, non mi parse presunzione a salir tutta la scala e andare
ai piedi di quel magno trono della Regina dello universo; e
umilmente con devotissima reverenza in terra prostrato, adorai
prima la Santissima Trinità e il nostro Salvatore Cristo Iesù e
di poi
lei. E levata la faccia verso
la dolce, umile e lieta presenza di quella Vergine Madre, con
gran giubilo e gaudio di cuore, perché io mi sentivo tutto
ardere d'amore, stupefatto di tanta bellezza, non mi ricordando
più che io fossi mortale ma
tutto assorto in quella luce e a quella inestimabile bellezza e
claritate intento, posto fuori di me stesso dissi queste parole
: — Tu, Maria, signaculum similitudinis, piena
sapientia, perfecta de
core, in delitiis Paradisi Dei es et
eris in perpetuum; omnis lapis pretiosus operimentum tuum:
sardius et topazius et iaspis; chrysolitus et onyx et berillus;
saphirus, carbunculus et smaragdus; aurum opus decoris tui,
et tabernacula tua in die qua condita es praeparata sunt. Tu
mater et virgo, velut Cherub extentus et protegens, quem
posuit Deus in monte sancto suo, in medio lapidum ignitorum
ambulasti perfecta in viis tuis a die conditionis tuae. Tu
gloria Hierusalem, tu Laetitia Israel, tu honorificentia popoli
nostri. Quia fecisti viriliter
et confortatum est cuor tuum, ideo et mantis Domini confortavit
te et eris benedicta in perpetuum. Salve, ergo, Regina, mater
misericordiae; vita, dulcedo et spes nostra, salve. Ad te
clamamus exules filii Evae. Ad te suspiramus, gementes et
flentes in illa lacrimarum valle. Eia
ergo, advocata nostra, illos tuos miséricordes oculos ad nos
converte, et mala quae pro peccatis nostris meremur averte, et
promissa nobis bona restitue. Et Iesum,
benedictum fructum ventris tui, nobis post hoc exilium ostende,
o clemens, o
pia, o dulcis virgo Maria —. Le quale parole dette, subito
da tutti i cuori della corona la qual portava la santa
Semplicità, nostra compagna, procederono voce e canti con
dolcissima consonanzia in questa forma: —
Recordare, Virgo Mater, dum steteris in conspectu Dei, ut
loquaris prò nobis bona et ut avertas indignationem suam a nobis
—. Le quale cose dette, con grande riverenza
le presentammo la nostra corona; e lei graziosissimamente con
ogni umiltà e benignità la accettò e, postasela in capo, prese
il suo Figliuolo in mano e si levò dal
trono e, umilmente inginocchiata alla Santissima Trinità,
presentatogli il Figliuolo suo, devotissimamente orando disse: —
Respice, quaesumus,
Domine, super hanc familiam
tuant, pro qua Filius meus, Dominus Iesus
Christus, non dubitavit manibus tradi
nocentum et crucis subire tormentum
—. Subito dopo queste parole, tutti quei cuori della corona con
voce pietosa concordemente dissero: — Miserere
nostri, Domine, miserere nostri: quia multum repleti sumus
despectione; quia multum repleta est anima nostra: obprobrium
abundantibus et despectio superbis —. Tutti gli angeli e i
santi stavano con lei inginocchiati, pregando insieme tutti che
tante orazione fossero
esaudite. E ecco venire da quelle tre facce, le quale
representavano la Santa Trinità, una voce verso la Vergine, che
disse: — Fiat sicut vis —. Le quale parole
udite, la Vergine gloriosa ritornò a seder nel trono suo; e
tutti quegli angeli e santi e
noi con loro eravamo intenti a lei e, pieni di grandissimo
gaudio, dicemmo : — Ora a te sta, Maria, e in te sola è posta
tutta la nostra salute —.
E lei allegramente si preparò a fare
risposta e, fatto grandissimo silenzio, tutti eravamo pendenti
dalla sua bocca santissima. La Vergine Madre allora, con voce
chiara e alta, alle orecchie di tutta la corte celestiale
proferse formalmente queste parole: — Florentia,
Deo Domino Iesu Christo Filio meo et mihi dilecta, tene fidem,
insta orationibus, roborare patientia: his enim et sempiternam
salutem apud Deum, et apud homines gloriam consequeris —. Di
poi, risguardandomi lei e stando cheta, fiducialmente le disse:
— Vergine Madre, queste sono cose generali:
bisogna che la vostra mano benigna sia più larga —. Rispose
allora in vulgate con parole
tanto accomodate e gentili,
che mi faceva stupire; né mi sarebbe possibile referirle se non
in sentenza. E disse: — Tu andrai e farai questa risposta al
popolo mio diletto, e dirai che gli è vero che sono peccatori e
per le loro iniquità meritano ogni male, e per la maggior parte
per la infedelità di molti, i
quali non vogliono credere quello che tu hai loro prenunziato
già tanti anni, avendo il mio Figliuolo dati loro oramai tanti
segni, che i non si possono più escusare del non credere; e,
benché il credere sia dono di Dio, nientedimeno, se i non
fussero cattivi e non avessero mala mente ma andassero
diritti a Dio, avrebbeno da
lui avuto tale lume, che avrebbeno
creduto ogni cosa. E però ripreendili, e di' loro che oramai non
siano più duri al credere, perché Dio si adirerebbe con loro.
Nientedimeno, per le molte orazioni
le quale sono state fatte dai
beati in cielo e in terra dai giusti,
Dio mi ha data ogni potestà. Orsù tutte le grazie già promesse
loro da Dio saranno restituite, cioè la città di Firenze sarà
più gloriosa e più potente e più ricca che mai, e estenderà le
ali più che mai facesse, e più
assai che molti non pensano, e riavrà
tutte le cose che ella ha perdute e tutte le altre, se più ne
perderà; e acquisteranne delle altre assai, che non furono mai
sue. E guai ai sudditi suoi che si ribelleranno da lei, perché
ne saranno gravemente puniti. E già quattro anni sono che, in
questo medesimo lume nel quale Dio ti fa annunziare queste cose,
fu detto ai Pisani che nella tribolazione futura, la quale ora è
presente, cercherebbero
libertà e che questa sarebbe la rovina
loro: e così sarà —.
Allora dissi io: — Non imputate,
Madonna, a presunzione se, per potere meglio soddisfare a chi mi
ha mandato, vi domanderò qualche cosa a maggiore intelligenza.
Vorrei sapere se la città nostra sara
tribolazione innanzi a queste
consolazione —. Rispose: — Figliuolo, tu hai predicata la
rinnovazione della Chiesa già tanti anni, la quale senza dubbio
sarà, e presto; e hai preannunciata per ispirazione del Spirito
Santo la conversione degli infedeli, cioè dei Turchi e dei Mori
e di altri infedeli, la quale sia
presto, così che molti mortali viventi al presente nel mondo la
vederanno. Questa rinnovazione e dilatazione della Chiesa non
potrà esser senza grande tribolazione
né senza la spada, come tu hai predetto loro, massimamente in
Italia, la quale è causa di tutti questi mali per le pompe e per
la superbia e altri innumerabili e indicibili peccati dei suoi
capi. E però tu non dovresti avere per male se la tua città di
Firenze e i tuoi figliuoli avranno
qualche tribolazione, perché lei sarà la manco flagellata tra le
città flagellate —.
E dicendo queste parole, estese la
mano e dette una palla, ovvero sfera, grande in mano a l'angelo
mio, nella quale era tutta la Italia descritta. Lui dunque
avendola così accettata, apersela; e subito vidi tutta la Italia
sottosopra, e molte città grande andar sottosopra e piene di
grandissime tribolazioni, le
quale io non nomino perché non m'è concesso; e alcune che non
erano tribulate di fuori né
avevano guerra esteriore, dentro si conturbavano sé medesime. E
vidi anche la città di Firenze
tribulare, ma non tanto quanto le altre tribolate.
Da poi, estendendo una altra volta la mano, mi porse una altra
palla, ovvero sfera, piccolina, nella quale erano scritte quelle
prime parole che lei, come dicemmo poco di sopra, disse per
lettera formalmente. La quale palla da poi che io ebbi aperta,
vidi la città di Firenze tutta fiorita di gigli, i quali si
estendevano su per i merli fuori delle mura da ogni parte molto
dalla lunga, e gli angeli sopra le mura intorno intorno la
guardavano; della quale cosa io allegrandomi, dissi: — Madonna,
certo bene conveniente mi pare che i gigli piccoli si
coniunghino con i grandi, i quali in questi tempi hanno
cominciato a estendersi —. E lei a questo non rispose, ma disse:
— Figliuol mio, se i vicini del popolo fiorentino, i quali si
rallegrano del male della città di Firenze, sapessero
le tribolazione che hanno a venire sopra di loro, non si
rallegrerebbero del mal
d'altri, ma piangerebbeno sé medesimi: perocché sopra di loro
verranno maggiore tribolazione che sopra la città di Firenze —.
Dissi io allora: — Gloriosa Domina,
benché io sia polvere e
cenere, dirò pure un'altra parola: se il popolo mi domanda se
questa promessa
è assoluta (cioè se così sia a
ogni modo) o se ella è condizionata (cioè che così sarà se
faranno la tale o le tali
cose), che debbo io rispondere? —. Rispose: — Figliuolo, sappi
che ella è assoluta, e che così sarà a ogni modo: perché Dio
provederà senza fallo i debiti mezzi per i quali questa grazia
promessa avra il suo fine —. E
disse: — Di agli
increduli cittadini fiorentini, i quali non vogliono credere se
non quanto vedono, che queste
cose saranno a ogni modo e non ne cadrà uno iota in terra. E
faccino i cattivi cittadini e perversi uomini di Firenze quanto
male sanno e possano, che non
impediranno tanto bene, del quale loro non saranno partecipi, ma
siano da Dio castigati,
se non si convertono a penitenza. E di ai buoni e giusti
quoniam bene, quoniam fructum
adinventionum suarum comedent, e che tanto più e tanto meno
aranno tribolazione quanto più
e quanto meno faranno osservare le buone leggi
e castigheranno gli uomini empi
e scellerati, i blasfematori e giocatori
e quelli che commettono il vizio indicibile contro natura, e
quanto più o manco rimuveranno
della città tanta feccia, la quale è causa delle loro
tribolazione, e quanto più o meno vivranno da cristiani e
sublimeranno le virtù e scacceranno i vizi —.
Dissi io allora : — Non mi reputare
presuntuoso, umile e mansueta Regina, se io aggiungerò ancora
questa altra parola. Se io sono domandato : Quando
haec erunti,
che rispondo io? —. Rispose e disse: — Cito et
velociter. Ma di loro che, così come quando tu cominciasti a
predicare i flagelli della Italia già sono cinque anni nella
città di Firenze, benché già siano più di dieci anni che tu gli
cominciasti a predicare altrove, in quel principio, quando tu
dicevi che verrebbeno cito et velociter, tu
soggiungevi : " Io non dico questo anno, né questi due anni, né
quattro, né otto " e non passavi mai i dieci, e nientedimeno
il flagello è venuto innanzi e più
presto che non si credeva; così ora di : " Io dico
cito et velociter, né determino il presente mese d'aprile,
né il mese di luglio né di settembre, né uno anno né due
né sei, né altro tempo determinato : ma cito et
velociter ". E però sarà forse più presto che molti non
credano —. E dette queste
parole, io fui licenziato.
Io ero tanto infiammato d'amore e
tanto astratto da me medesimo per la bellezza delle cose che io
vedevo, che, non mi ricordavo
d'avere il corpo mortale, non mi sapevo da lei partire; e pure
sentendomi licenziare, dissi: — Vergine gloriosa, voi avete
quassù tanti ministri; pregovi, mandatene uno a fare questa
risposta al popolo fiorentino, imperocché io sono oramai tanto
stracco per le fatiche di molti anni già per lui portate, che io
ho gran desiderio di riposarmi un poco —. Dicendo io queste
parole, cominciò tutta quella santa multitudine a ridere della
mia semplicità, e lei, ancora surridendo, mi consolò e disse: —
Adhuc libi grandis restat
via, sed confortare in Domino et esto robustus, quia Dominus
tecum est et, si perseveraveris usque in finem, salvus eris.
E noi tutti ti aiuteremo: non avere paura degli tuoi avversari,
e sta allegro nelle tribolazione, perché presto verrai alla
nostra compagnia dopo molte fatiche e avrai
la corona della vita, quam repromisit Deus
diligentibus se —.
E io allora mi levai su e, con quanta
umilità e devozione potetti, ringraziai la Santissima Trinità e
il nostro Salvatore Iesù Cristo, raccomandando me e la città e
gli miei frati alla sua misericordia. Ringraziai poi la
gloriosissima Vergine Madre e lasciai
nelle sue mane il cuor mio, pregandola che ella fosse sempre
nostra avvocata e ci confortasse nelle nostre tribolazione.
Ringraziai ancora tutto il resto della corte celeste delle loro
orazione, le quale ci avevano aiutati impetrare tante grazie. Di
poi, fatte le debite reverenzie, cominciai a descendere la scala
con tutta la nostra compagnia; e per il grande giubilo che era
nella anima mia, come prima mi trovai nel coro dei Serafini,
cominciai con alta voce a cantare: — Confitemini
Domino quoniam bonus, quoniam in saeculum misericordia eius —. E
gli angeli risposeno: — Dicat nunc Israel quoniam bonus, quoniam
in saeculum misericordia eius —. E così descendendo cantavo quel
salmo CXVII, a ogni versetto sempre gli angeli rispondendo : —
Quoniam bonus, quoniam in saeculum misericordia eius —, insino a
nel versetto che comincia Aperite eccetera. E perché il salmo
non è così comune a tutti, scriverremolo qui di sotto in questa
forma:
Confitemini Domino
quoniam bonus, quoniam in saeculum misericordia eius. / Dicat
nunc Israel quoniam bonus, quoniam in etc. / Dicat nunc domus
Aaron quoniam bonus, f Quoniam in etc. / Dicant nunc qui timent
Dominum. j Quoniam in etc. / De tribulatione invocavi Dominum et
exaudivit me in latitudine Dominus. /
Quoniam in etc. / Dominus mihi adiutor: non timebo quid facial
mihi homo. / Quoniam in etc. / Dominus mihi adiutor, et ego
despiciam inimicos meos. / Quoniam in etc. / Bonum est confidere
in Domino quam confidere in nomine. / Quoniam in etc. / Bonum,
est sperare
in Domino quam sperare in principibus. / Quoniam in etc. / Omnes
gentes circuierunt me et in nomine Domini, quia ultus sum in
eos. / Quoniam in etc. / Circumdantes circumdederunt me et in
nomine Domini, quia ultus sum in eos. / Quoniam in etc. /
Circumdederunt me sicut apes et exarserunt sicut ignis in spinis
et in nomine Domini, quia ultus sum in eos. f Quoniam in etc. /
Impulsus eversus sum, ut caderem: et Dominus suscepit nie. /
Quoniam in etc. / Fortitudo et laus mea Dominus: et factus est
mihi in salutem. I Quoniam in etc. / Vox exultationis et salutis
in tabernaculis iustorum. / Quoniam in etc. / Dextera Domini
fecit virtutem, dextera Domini exaltavit me, dextera Domini
fecit virtutem. / Quoniam in etc. / Non moriar sed vivam, et
narrabo opera Domini. / Quoniam in etc. / Castigans castigavit
me Dominus et morti non tradidit me. / Quoniam in etc. / Aperite
mihi portas iustitiae, et ingressus in eas confitebor Domino.
Haec porta Domini: insti intrabunt in earn. / Quoniam in etc. /
Confitebor tibi, quoniam exaudisti me et factus es mihi in
salutem. / Quoniam in etc. / Lapidem, quem reprobaverunt
aedificantes, hic factus est in caput anguli. / Quoniam in etc.
/ A Domino factum est istud et est mirabile in oculis nostris. /
Quoniam in etc. / Haec dies, quam fecit Dominus: exultemus et
laetemur in ea. / Quoniam in etc. / O Domine, salvum me fac; o
Domine, bene prosperare: benedictus qui venit in nomine Domini.
/ Quoniam in etc. / Benediximus vobis de domo Domini. Deus
Dominus, et illuxit nobis. / Quoniam in etc. / Constituite diem
sollemnem in condensis usque ad cornu altaris. / Quoniam in etc.
/ Deus meus es tu et confitebor tibi; Deus meus es tu et
exaltabo te. / Quoniam in etc. / Confitebor tibi, quoniam
exaudisti me et factus es mihi in salutem. / Quoniam in etc. /
Confitemini Domino quoniam bonus, /
Quoniam in etc. / Gloria Patri et Filio et Spiritui Sanato. /
Quoniam bonus, / Sicut erat in
principio. Amen. / Quoniam bonus.
E approssimandoci alla porta, cantai
allora quel versetto che dice: Aperite mihi portas
iustitiae etc., e fatti gli abbracciamenti e ringraziamenti
con le dette recommendazione, una altra volta adorammo la Maestà
Eterna e uscimmo della porta, seguitando il salmo e dicendo con
le compagne nostre: — Confitebor tibi, quoniam
exaudisti — con gli altri versetti seguenti. Il quai salmo
finito, sparve ogni cosa.
Dopo questa predicazione, seguitando
il predicare pubblicamente, ho detto e molte volte riconfermato
che il Re di Francia è stato da Dio eletto ministro della sua
giustizia e che lui sarà vittorioso e prospererà
etiam se tutto il mondo gli fosse contrario. Vero è che,
come particolarmente ho detto e scritto a lui, per conservarlo
in umilità e per i mali che fanno ai
suoi sudditi se lui non li corregge, avra
di molte tribolazioni,
e per la maggior parte se i non tratterà bene la città di
Firenze, così che Dio gli farà ribellare
i popoli e daralli molti
avversarii e molte difficoltà,
perché Dio vuole che sia amico e fautore della città di Firenze,
da Dio eletta per principio della riformazione della Italia e
della Chiesa; e se esso non vorrà essere amico dei Fiorentini
per amore, Dio lo farà esser per forza. Nientedimeno, perché lui
è eletto da Dio ministro della sua giustizia, se si umilierà e
riconoscerà la elezione sua, non sarà sommerso
dalle tribolazioni; anzi, poi
che sarà umiliato e purgato, si leverà su vittorioso e, quando
parrà agli uomini che lui
totalmente sia estinto, allora risorgerà
su con vittoria e, osservando
quello che Dio gli ha fatto dire, acquisterà gran regno;
altrimenti facendo e seguitando la via che non piace a Dio,
potria essere reprobato da lui, come fu reprobato Saul primo re
di Israel, e potria esserne da Dio eletto a questo ministero un
altro in suo luogo, come fu eletto David in luogo di Saul:
perché queste promesse e grazie fatte a esso Re di Francia sono
condizionate e non assolute, come è assoluta la riforma della
Chiesa e le grazie promesse ai Fiorentini. E acciocché ogni uomo
intenda che vuole dire profezia assoluta e condizionata, è da
notar che Dio conosce le cose future in due
modi: uno è che le conosce secondo che sempre sono presente alla
sua eternità, l'altro modo è che le conosce secondo che esse
procedono da l'ordine delle lor cause. E benché Dio sempre le
conosca in questi due modi
insieme, nientedimeno, perché lo effetto non riceve tutta la
virtù della sua causa, per la maggior parte quando la causa è
molto eccellente, come è Dio, gli profeti non ricevono sempre da
Dio la cognizione delle cose future in tutti due
questi modi insieme, ma alcuna volta secondo il primo modo, e
allora quella cognizione si domanda profezia di prescienzia
ovvero di predestinazione; alcuna volta la riceve secondo
l'altro modo, e allora tal cognizione si domanda profezia
condizionata di comminazione ovvero di promesse, perché bisogna
intendere che tal cose preannunciate verranno se non si muterà
l'ordine delle cause dalle quale ordinatamente hanno a
procedere. E in questo modo Iona
disse: Adhuc quadraginta dies et Ninive
subvertetur, le quale parole non erano false, perché si
intendevano così: che i peccati di Ninive meritavano che da poi
quaranta giorni lei fosse distrutta.
E similmente Esaia disse ad
Ezechiel, re di Ierusalem:
Dispone domui tuae, quia morieris tu, et non vives.
Le quali parole si intendevano così, che la disposizione del
corpo suo era tale, che la ordinava alla morte, e per via
naturale non poteva campare. Il profeta dunque, che impara da
Dio e che semplicemente deve
obbedire a Dio, deve
etiam preannunciare le cose future in quel
modo che a lui è comandato da Dio, altrimenti incorrerebbe in
peccato, come fece Iona, il
quale per la inobbedienza fu
punito, come è descritto nella sua profezia. Dico adunque,
ispirato da Dio, che se il Re di Francia osserverà quello che
abbiamo detto di sopra, senza dubbio sara
vittorioso e acquisterà grandissimo regno; e se non osserverà le
cose predette, a gran pericolo andrà il fatto suo; e se le
orazione dei giusti non lo
aiuteranno, sarà da Dio reprobato, come abbiamo detto di sopra.
Ancora ho detto più volte
pubblicamente che tutti quelli che tribolano
i Fiorentini saranno tribulati da Dio; e di questo, oltra la
autorità del lume divino, ho assegnata anche qualche ragione,
perché, essendo mutato lo stato e la forma della città di
Firenze e non avendo questo nuovo stato né il popolo, il quale
come libero di sé al presente governa, fatto per ancora male né
ingiustizia a alcuno popolo o Signore, certa cosa è che chi
tribula ora i Fiorentini iniustamente gli offende, e però merita
di essere punito dalla divina giustizia.
Ancora ho predicato pubblicamente, e
così confermo per divina ispirazione, che se alcuno cittadino
della città di Firenze, dentro o di fuora, tenterà mai con
effetto di farsi capo in essa città o di guastare il presente
governo, Dio gravemente punirà lui e la casa sua e tutti quelli
che lo seguiteranno, e alla fine gli farà tutti capitar male.
Ancora più volte confermato
da il lume divino, ho pubblicamente replicato che quello che è
stato promesso alla città di Firenze a ogni modo sarà,
etiam se tutto il mondo le fosse contrario. E
che se i Fiorentini vanno seguitando e crescendo nel ben vivere,
come hanno cominciato, prima diminuiranno gran parte delle loro
tribolazione, le quale hanno a venire innanzi alle consolazione;
secondo, faranno più presto venire le grazie a loro promesse;
terzo, ne saranno partecipi loro e gli suoi figliuoli, avvenga
che molto più gli suoi figliuoli che loro: perocché, benché le
grazie di sopra scritte siano assolutamente state promesse alla
città di Firenze, non sono però state promesse a alcuna
particolari persona. E però molti cattivi cittadini non ne
saranno partecipi, se forsi i non si emendano. Onde ho detto al
popolo che notino in uno libro tutti quelli che non credono e
contradicono da una parte, e da l'altra tutti quelli che credono
e seguitano questa dottrina: e vederanno in breve tempo che i
sette ottavi di queste tribolazione toccheranno a quelli che non
credono e contraddicono.
Conforto dunque ognuno al credere e la sua fede dimonstrare con
le opere. Perché questo non poterà a lui nuocere, ma sommamente
giovare a laude e gloria del nostro Salvatore Cristo Iesù,
qui cum Pâtre et Spiritu Sancto est Deus
benedictus in saecula saeculorum. Amen.
Io so che molti uomini animali e di
queste cose inesperti si faranno beffe di me e diranno queste
cose essere state trovate e ordinate per invenzione umana e
essere piuttosto fazione poetice che visione o profezie. Vadano
costoro a leggere i Profeti, per la maggior parte Ezechiel e
Daniel e Zaccaria, e troveranno simile cose fatte in loro dal
Spirito Santo, le quale loro scrisseno non dichiarando il
mistero, ma lasciandolo a lo esercizio dei santi dottori. E
credino questi tali che gli profeti videno molto più cose assai
con innumerabile circonstanze,
che non scrissero. Ma io ho
voluto estendere questa visione con la sua dichiarazione per
consolazione degli eletti e per torre via molte calunnie degli
avversarii, benché mia intenzione era piuttosto di asconderla.
Ma, come ho detto, sono stato costretto a scriverla. E tutto
quel che io ho scritto è vero e non ne
caderà uno minimo iota in terra che
non si adempia. E benché io mi sia sforzato di scrivere ogni
cosa chiaramente, nientedimeno credo che molti incorreranno in
diverse dubitazione, come etiam molte
dubitazione sono negli Evangelii, i quali paiono così chiari, e
molte più nei Profeti, nei quali pare ancora che siano molte
contraddizioni, le quale con
gran fatica concordano i santi dottori. E gli eretici e cattivi
uomini in esse si avviluppono e rimangono eccecati,
unde disse lo Apostolo ai Corintii:
Si etiam opertum est Evangelium nostrum, in iis
qui perenni est opertum, in quibus deus huius saeculi excaecavit
mentes infidelium, ut non fulgeat illuminatio Evangelii gloriae
Christi, qui est imago Dei. E però se questa nostra operetta
partorirà ad alcuni qualche dubitazione, nessuno se ne deve meravigliare.
Spero però che chi la leggerà col cuore retto ritroverrà
facilmente la soluzione d'ogni cosa, e chi pure non la sapessi
trovare per sé medesimo, vivendo ancora lo autore ricorra a lui
o, morto lui, ai suoi discepoli e familiari, e seragli
satisfatto appieno in ogni cosa. Altrimenti facendo, manifesterà
di sé medesimo che non è amatore della verità ma calunniatore
del suo fratello, e provocherà contro a sé il giudice
Eterno, il qual dirà contro a lui: — Os tuum
abundavit malitia et lingua tua concinnabat dolos.
Sedens adversum fratrem tuum loquebaris, et
advenus filium matris tuae ponebas scandalum.
Haec fecisti et tacui.
Existimasti inique quod ero tui similis. Arguam te et statuam te
contro faciem tuam —. Se gli uomini credono ai libri dei
mercatanti e alle carte e pubblici
instrumenti antiquissimi dei notarii
e ai altri uomini, dei quali è scritto Omnis homo
mendax, e agli astrologi
fallaci e ai demonii, ai quali i gran maestri spesso vanno a
domandar consiglio e i quali son bugiardi e padri e maestri
delle bugie, quanto maggiormente doveriano credere queste cose
delle quale hanno già buona parte viste venire, e per la maggior
parte non mi avendo loro mai potuto trovare in bugia,
praesertim avendo Dio già dato loro molti
segni che queste cose sono da lui e non da invenzione umane!
Prego gli eletti di Dio che in tanta contraddizione non si
conturbino, ma tanto più si debbino firmare in questa fede
quanto più veggono le nostre cose assimilarsi alla dottrina di
Cristo e dei Profeti e degli apostoli e di tutti gli altri
santi, così nella verità e nel modo come nelle persecuzione,
come ho molte volte dichiarato per le Sacre Scritture.
Ringrazino Dio che ha loro donato tanto lume che conoschino la
verità che procede da lui, e non si maraviglino se molti non
credono e altri ci perseguitano, perché Cristo con altra
efficacia che non facciamo noi predicava al popolo ebraico e
confirmava la sua dottrina con miracoli grandi e stupendi, e
nondimeno pochi credettono in lui e molti il perseguitorono in
tanto che il dì della sua Passione ogni uomo lo abbandonò e
rimase la perfetta fede solo nella Vergine Madre. E nessuno deve
dubitare che gli eletti di Dio si perdine, perché, come dice lo
Apostolo, " firmum fundamentum Dei stat, habens
signaculum hoc: ' Cognovit Dominus qui sunt eius ' et ' Discedat
ab iniquitàte omnis, qui invocai nomen Domini '. In magna autem
domo non solum sunt
vasa aurea et argentea, sed et lignea et fictilia et quaedam
quidem in honorem, quaedam autem in contumetiam. Siquis ergo
emundaverit se ab istis, erit vas in honorem sanctificatum et
utile domino, ad orane opus bonum paratum ".
Itaque Regi saeculorum immortali, invisibili, soli Deo honor et
gloria in saecula saeculorum. Amen.
FINIS DEO GRATIAS |