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Crinitus |
Thritemius |
F.Rabelais |
J.C.Scaliger |
Savonarola |
1831 Bricon |
R.Roussat
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Crinitus
Egli nacque dunque a Firenze il 9 gennaio 1475, ed ebbe una vita assai
breve. Morì infatti nel 1507 all'età di trentadue anni, forse per
consunzione.
Dedicatosi agli studi classici molto per tempo, fu alla scuola di
Paolo Sassi da Ronciglione fino al 1491, e poi venne affidato
all'insegnamento di Ugolino Verino.
Straordinaria fu la precocità di lui, che si rivelò subito con un
grande amore delle lettere, con un intenso desiderio di rendersi conto
di tutti i problemi.
La Biblioteca Laurenziana conserva ancora un codice contenente le
Epistole di Sidonio Apollinare, che porta in margine glosse e
annotazioni in latino fatte dal Crinito nel 1489 ; già all'età di 14
anni egli attendeva allo studio delle lingue classiche, ed era in
grado di glossare con una certa competenza un simile autore. Infatti,
proprio in quegli anni, il Crinito frequentava le lezioni di retorica
all'Università fiorentina, ove dalla viva voce del Poliziano, poteva
approfondirsi nello studio delle opere antiche.
Per tutte queste ragioni, già a quell'età, o poco più avanti,
l'umanista si era guadagnato la stima e l'attenzione di uomini celebri.
Nei convegni della Biblioteca di S. Marco frequentati dal Salviati,
dal Barbieri, dal Laurenziano, dall'Ambrogini, e non di rado anche dal
Savonarola, un giorno si era accesa un'interessante disputa su una
questione religiosa. Il Savonarola e il Laurenziano dissentivano
dall'opinione di Pico della Mirandola, finché quest'ultimo, dopo
lunghe controbattute, arrivò candidamente a confessare che questioni
così importanti e difficili si adattavano anche al Crinito, che,
sebbene giovinetto, era già versatissimo e competente in ogni
disciplina.
Prima dei venti anni la sua fama doveva essere ampiamente diffusa:
senza chiedere troppo all'interpretazione delle fonti si può con
legittimo giudizio affermare che il suo nome era già noto al Magnifico
Lorenzo. Gli storiografi parlano infatti di un ingresso ufficiale del
Crinito nel palazzo di via Larga, quando il giovane umanista, l' 'adulescentulus
', come l'aveva chiamato Pico della Mirandola durante la discussione
in S. Marco, vi fu accompagnato e presentato al mecenate di tutti gli
studiosi. Fu la via al successo, alla notorietà, e noi crediamo che
quivi, nella cerchia sempre più vasta di poeti e eruditi, questo
discepolo dell'Ambrogini ricevesse favori e larghi consensi. Più volte
nelle sue opere il Crinito ricorda le intere giornate trascorse alla
corte di Lorenzo; e in queste righe c'è un orgoglio mal dissimulato,
si sente che la sua personalità si è già imposta all'attenzione dei
più diffidenti a concedere stima al primo venuto.
A ogni modo, per quanto sia certo che il Crinito frequentasse con
onore le dotte riunioni che si tenevano nella casa del Magnifico, è da
escludere che egli diventasse il precettore dei figli di lui alla
morte del Poliziano, secondo le affermazioni del Negri. Come Lorenzo
avrebbe potuto chiamare il Crinito a sostituire il Poliziano dopo il
suo decesso, se era già lui stesso, Lorenzo, passato di vita? Infatti
fu l'Ambrogini — come si sa — che morì dopo il Magnifico nel 1494,
mentre quest'ultimo era già deceduto nel 1492. Interessante rilievo,
che fa comprendere quanti errori possono nascere per l'ignoranza o la
dimenticanza di una data.
Ma il Crinito, anche senza questo, era ormai entrato nella vita
letteraria con buoni frutti: aveva ormai già cominciato a partecipare,
con quell'entusiasmo che è proprio dei giovani, alle manifestazioni
più cospicue della vita culturale della città, e anche ai più gravi e
severi consessi, ove discutere, proporre cose nuove, confutare e
avversare idee di uomini celebri era per lo meno un titolo di fiducia
benevola riservato a pochi, quasi un diritto acquisito d'essere
considerato qualcuno nell'infinito numero dei mediocri e dei timidi.
E un giovane, lanciato a quei tempi in un turbinare di dottrine nuove
che fermentavano al lievito della Rinascita, o naufragava ai primi
tentativi e si mostrava impari al compito, o superando la prova si
imponeva con una personalità ricca di promesse e originale
nell'individualismo invadente. Essere ligio a una scuola e a un metodo,
ma liberarsene poi per l'affermazione istintiva e decisa di un
indirizzo proprio, era generalmente il processo autocritico che subiva
ogni letterato di quel secolo.
Più che in altri periodi della nostra civiltà, è perciò troppo
necessario rendersi conto di ogni singolo rappresentante del '400. A
un osservatore oculato e penetrante non sfuggiranno, anche nei minori,
certe innovazioni appena formulate, certi giudizi reazionari a idee
invalse e tradizionali accennati con riserve o abbozzati in modo
rudimentale ed incerto, ma gettati comunque nel fecondo terreno della
critica come un seme che produrrà poi i suoi frutti.
In questo senso, fu anche il Crinito uno dei tanti e modesti artefici
del rinnovamento, cui egli concorse con paziente lavoro e amorevole
fiducia.
Si è detto nella parte iniziale di questa introduzione che la
struttura stessa del De honesta disciplina ci rivela il modo come il
trattato venne via via composto, in quanto i vari capitoli mostrano
chiaramente di essere stati formati con il materiale delle ricerche
che l'umanista avrebbe condotto per preparare le sue lezioni
accademi-che, come era normale in casi simili di cui non mancano gli
esempi.
A questo proposito bisognerà aggiungere qualche osservazione per
precisare la verità storica dei fatti. In realtà, se i soliti biografi
affermano senz'altro che il Crinito successe al Poliziano nella
cattedra di eloquenza a Firenze, come per il suo insegnamento in casa
dei Medici, anche per questo particolare di grande importanza mancano
documenti sicuri di attendibilità.
A parte il fatto che lo Studio fiorentino era stato trasportato a Pisa
molto tempo prima della morte di Lorenzo, cioè nel 1473, e che
soltanto dopo la calata di Carlo VIII per la ribellione di questa
città fu trasferito per qualche anno a Prato; le dichiarazioni degli
storiografi parrebbero anche in questo caso campate in aria, perché
dalle fonti non risulta che il Crinito insegnasse né a Pisa né a Prato
in questo periodo. A ogni modo, tali elementi non escludono una forma
diversa di quest'attività del nostro umanista, perché egli potrebbe
benissimo avere istituito una cattedra a Firenze in un convento, in
una sacrestia, anche in casa propria: il concetto di studio, di
università, in questo secolo è molto vago — com'è risaputo — ed
estensibile ad ogni tipo di insegnamento, anche privato.
Ci sono infatti alcune dichiarazioni del Crinito a questo proposito,
da cui si arguisce che egli possa aver fatto scuola a questo modo.
Furono da lui poste in una serie di manoscritti miscellanei del
Poliziano, conservati nella Biblioteca di Monaco, e sono di questo
tenore:
« Excripsi ego Petrus Crinitus... quo tempore de professione publi-cae
lectionis cogitare coepi. 1494 ».
« ...Ego Petrus Crinitus, 5 Nov. 1500, quo tempore in aède S. Spiritus
Ciceronem "De oratore" repetebam... ».
« ...Ego P. Crinitus, Florentiae, Augusto 1498, quo tempore Plau-tinas
fabulas... privatim profitebar... ».
Come si vede, è chiaro che il Crinito faceva lezioni in pubblico e in
privato, ed è particolarmente interessante l'espressione « repetebam
in aede S. Spiritus » perché prova che il Crinito insegnava nel
Convento agostiniano ove si tenevano delle ' repetitiones ', ossia
delle lezioni supplementari nelle quali i professori esponevano di
nuovo le lezioni che avevano fatto all'Università. Altrettanto la
frase ' de professione publicae lectionis cogitare coepi ' spiega che
il Crinito teneva sicuramente dei corsi nel pubblico studio, perché
tutti i letterati dell'epoca usano questa espressione quando vogliono
alludere alla loro attività cattedratica.
Chiarito questo importante lato della vita del nostro umanista, se noi
siamo autorizzati a credere il De honesta disciplina come il diretto
resultato del suo insegnamento universitario, non possiamo inferire
altrettanto che il Crinito succedesse direttamente al Poli-ziano nella
cattedra di eloquenza, perché ci manca ogni testimonianza storica al
riguardo.
Più sicure sono invece altre prove della partecipazione del Crinito
alla vita culturale della città.
Infatti, oltre che membro delle riunioni che si tenevano in S. Marco
nella famosa Biblioteca — chiamata spesso dall'umanista col nome di '
Achademia ' forse per un senso di venerazione per gli illustri
personaggi che la frequentavano — il letterato fiorentino fece parte
anche dell'Accademia Platonica, e delle riunioni che si tenevano a
Fiesole nella villa di Cosimo, posta vicino al Cenobio di S. Girolamo,
ove convenivano il Pico, il Calcondila, il Magnifico, Matteo Bossio,
Pietro Martelli e altri insigni personaggi dell'epoca.
In questo vivaio di erudiziene e di cultura il Crinito trascorse così
la prima parte della sua breve vita, finché Firenze non perse, nel
volgere di pochi anni, tre fra i più grandi fautori del suo risveglio
letterario e filosofico. Egli si unì sinceramente al dolore che
accomunava gli studiosi e il popolo in un eguale rimpianto, e
commemorò la morte di Pico della Mirandola e del Magnifico in alcuni
carmi, ove con una nota di profonda tristezza mostra la sincerità
dell'affetto che lo legava ai due grandi umanisti.
Nel 1494 morì il Poliziano, e la fine di quell'uomo illustre che gli
era stato veramente maestro lo accorò in un modo anche più grave. Egli
volle allora immortalarne con un ricordo vivo e perenne la memoria, e
alacremente si adoprò a rimettere insieme con amorosa cura le opere di
lui, che uscirono per la prima volta nella loro integrità impresse da
Aldo Manuzio.
Ma egli non fece solo questo come segno di devozione e di affetto
verso il grande scomparso. Più tardi, siccome alcune tra le opere del
Poliziano erano divenute oggetto del plagio più indegno da parte di
uomini senza scrupoli, il Crinito ne difese con nobili e ardenti
polemiche la paternità, e al Sarti, che gli chiedeva gli argomenti
della seconda Centuria delle Miscellanee polizianesche, rispondeva
elencandone ad uno ad uno i passi più importanti, che egli stesso
aveva sentito dalla viva voce del suo maestro.
Pubblicò poi i titoli di questa seconda Centuria, e ne fece una
sommaria relazione in una pagina molto importante e del massimo
interesse per gli studi polizianeschi, sebbene sia stata quasi
dimenticata fino ai nostri tempi.
Morto il Poliziano e cacciati i Medici da Firenze, dopo il decesso del
Magnifico, cominciò per l'umanista una vita randagia.
Ardente patriota e innamorato della sua Firenze, egli piange lacrime
amare per la calata di Carlo VIII a cui rivolge liriche piene di
sdegno, mentre esalta il senno politico di Lorenzo che aveva saputo
conservare libere e forti l'Italia, e sopratutto Firenze. Il Magnifico
appare così, in un suo carme, nella luce calma e radiosa di quella
forza e di quel prestigio che si imposero a principi e a re:
« Hic solus patriam consilio gravi
Undantem variis fluctibus extulit:
Nil diram veritus (discite posteri)
Regum saevitiem et dolos ».
Triste e crudele era il confronto di quegli anni dolorosi in cui
l'inettitudine di Piero de' Medici aveva permesso ai Francesi, tanto
inetti quanto superbi, di rovesciarsi sull'Italia, mentre la discordia
tra i capi aveva favorito quell'oltraggio alla patria e all'adorata
Firenze:
« Vides nefandis ut trahantur odiis
Plerique Thuscorum duces. ...
Sed intérim Carolus ad urbis moenia
Cum copiis victor agitur».
Animato da questo fervente amor di patria, il Crinito esalta Francesco
Gonzaga, che aveva combattuto con onore contro i Galli, finché, quando
tutto è perduto e la grande figura di Lorenzo è passata per sempre
alla storia lasciando Firenze agli inetti e agli ingrati, il Crinito
deplora le gravi condizioni dell'Italia invasa dallo straniero, e
prorompe in accenti d'ira contro l'oppressore perché per opera sua le
lettere e le arti erano decadute, e ogni attività culturale, troncata
nella sua efficienza, aveva ceduto il posto a dure lotte politiche e
partigiane, ove gli spiriti più eletti consumavano il meglio delle
loro energie.
Fuggito da Firenze, dove si era legato in cordiale amicizia sopratutto
col Marullo, ma anche con Bartolomeo Scala per la difesa che
quest'ultimo aveva fatto della città, il Crinito fu ospitato presso
diverse corti. Fu a Bologna, a Padova, a Ferrara, e quivi lasciò
parecchi suoi carmi latini inediti.
A Napoli fu certamente in relazione col Pontano tra il 1495 e il 1496,
e con Bernardo Carafa, a cui dedicò anche il De honesta disciplina e
alcune delle sue migliori poesie. A Roma frequentò Tommaso Fosco e
Manilio Rallo, i quali insieme a Pomponio Leto fecero parte di quello
speciale rinnovamento degli studi giuridici che precorse l'importante
indirizzo detto della ' iurisprudentia culta ', A Venezia conobbe e
stimò Ermolao Barbaro e Bartolomeo Sodini,33 e forse in quegli anni
ritornò per breve tempo in Firenze, perché sappiamo che prese parte
alle adunanze di eruditi e poeti tenute negli Orti Oricellari.
In un suo carme latino egli esalta la bellezza di quei boschi e di
quei giardini, ove conobbe anche il fondatore di quei ritrovi,
Bernardo Rucellai, insieme al Canacci, al Corsi, e a molti altri
famosi letterati dell'epoca.
Fra i quali il Crinito ricorda ancora il Mainardi, Annio di Viterbo,
Stefano Negri, il famoso astronomo Giano Teolofo, e Benedetto Filologo.
Dopo aver vagato qua e là per l'Italia il Crinito ritornò
definitivamente a Firenze, e qui, colto da una grave malattia, morì
nell'età di 32 anni il 5 Luglio 1507.
DE HONESTA DISCIPLINA |
NOSTRADAMUS |
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LIBER SEPTIMUS, CAPUT IV.
Qui de ingenio daemonum scripserint, ac de
Gnosticis et Euchaetis, quibusque sacris
daemonem se concipere putarent, digna memoria observatio.
Inter philosophos veteres qui et ingenio clari et doctrina
praestiterunt, maxime quidem Academici numerantur. Hi autem de
geniis multa ac daemonibus scribentes diligenter observarunt,
quo habitu sint, quaque potestate polleant. Nam habere illos
vires maximas et in quaque re mira quaedam efficere pro
comperto affirmant, quod et Christiani philosophi pari
consensu asserunt, ut Psellus, Origenes,
Adamantius et Augustinus, in eo praesertim
libro quem de potestate daemonum composuit. Sed quo pacto,
quibusque sacris Euchaetae et Gnostici daemonem se olim
concipere dicerent, dignum profecto memoria est, cum inter
alia quoque portenta ac prodigia magicae vanitatis id ipsum
merito referri possit. Nam divinationis genus quae necromantia
dicitur, in hunc modum fieri solitum ab ipsis quidem Gnosticis
invenio, qui alio verbo εύχαϊται vocantur. Decimo
calendas apriles, quo die Jesus Christus a Judaeo populo
cruci affixus est, convenire hi solent cum
puellis sibi notis qui gnostici dicuntur. Tum,
peractis quibusdam sacris atque luminibus
extinctis, simul coitum ineunt vel cum sorore vel cum
filia, nec ullam prorsus rationem habent affinitatis.
Dein autem nono mense in eundem locum redeunt puellasque
advocant, et natos infantes ab illis accipiunt, eorumque
corpus circumcidunt. Tum effluente undique cruore phialas
implent, et puerorum simul corpora cremantes cineremque
accipientes cruori commiscent, atque eo condimento epulas et
pocula clam ubicumque incedant, condiunt. Tum his quidem
sacris et alimentis divinos quasi ' characteres' in illis
imprimi atque infundi existimant, ac ipsa etiam daemonia
liberius concipi et felicius retineri. Sed iidem praeterea
dogma proprium ab insano quodam, ut inquit Psellus, acceperunt,
quorum opinio sit, ut unus omnino pater credatur cui filios
duos ascribunt, antiquiorem primum, alterum vero iuniorem.
Principia autem tria. Nam patri supercaelestia tantum, iuniori
autem filio caelestia, seniori subcaelestia gubernari referunt;
quod ipsum dogma nihil fere, ut inquit Psellus, a poeticis
fabulis anilibusque ineptiis abhorret. Quae res non ab
Augustino ac Eusebio tantum ridetur, sed a caeteris quoque
sacris auctoribus, qui pro veritate ipsa et religione, summis
quidem laboribus atque diligentia excubantes, evigilarunt.
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C1, Q42
« Le dix Kalendes d'Apvril »
Voici le quatrain C I, 42, tel qu'il figure dans les éditions :
Le dix Kalendes d'Apvril de faict Gotique
Resuscité encor par gens malins :
Le feu estainct, assemblée diabolique
Cherchant les or du d'Amant & Pselyn.
Et voici comment nous allons proposer de le reconstituer :
Le dix Kalendes d'Apvril le faict Gnostique
Resuscité encor par gens malins :
Le feu estainct, assemblée diabolique
Cherchant les ords Adamant & Psellyn.
Ce quatrain, qui décrit une scène de nécromancie, est redevable
au chapitre IV du De honesta disciplina du Florentin Petrus
Crinitus; voici le début du chapitre en question Les; membres de
phrase retenus par Nostradamus ont été mis en gras :
Observation digne de mémoire, à savoir quels (auteurs) ont écrit
sur le tempérament des démons, ainsi que sur les Gnostiques et
les Euchètes, et par quelles cérémonies sacrées (ceux-ci)
croyaient qu'un démon s'attrapait.
Chapitre IIII.
Parmi les anciens philosophes qui s'illustrèrent par leur génie
et l'emportèrent par leur savoir, on compte en particulier les
tenants de l'Académie. Ces gens, consacrant beaucoup d'attention
à la question des génies et des démons, observèrent avec soin le
comportement et la puissance de ceux-ci : ils tiennent pour
assuré que ces derniers possèdent de très grands pouvoirs et
opèrent des prodiges en toute chose. Ce à quoi concourent aussi
les philosophes chrétiens, en parfaite conformité de sentiment,
comme Psellus, Origène Adamantius et Augustin dans ce livre
surtout qu'il composa sur la puissance des démons. Mais de
quelle façon et par quelles cérémonies sacrées les Euchètes et
les Gnostiques prétendaient que s'attrapait autrefois un démon,
cela est certes digne de mémoire : comme le fait lui-même mérite
de pouvoir être cité parmi les autres curiosités et les prodiges
de la vanité de la magie. Car je lis que ce type de divination
qu'on appelle nécromancie avait coutume d'être pratiqué de la
façon suivante, par ces mêmes Gnostiques qu'on appelle autrement
les Euchètes. Le dix des Calendes d'avril, jour où Jésus Christ
fut mis en croix par le peuple juif, ces gens qu'on appelle les
Gnostiques ont coutume de se rassembler avec des jeunes filles
connues d'eux : alors, après avoir fait certains sacrifices et
toutes lumières éteintes, ils s'accouplent ensemble, soit avec
leur sœur, soit avec leur fille, et ne tiennent absolument aucun
compte des liens de parenté. Puis ils reviennent au même endroit
neuf mois plus tard et y convoquent les jeunes filles, et ils
reçoivent d'elles les enfants nés (de cette union) et leur
taillent les membres : alors ils emplissent des fioles du sang
qui coule de partout, et brûlant en même temps les corps des
enfants et recueillant leurs cendres, ils mélangent (celles-ci)
au sang et c'est avec ce condiment qu'ils assaisonnent aliments
et breuvages, où qu'ils se trouvent, en cachette : ils croient
que par ces sacrifices et ces aliments, des caractères quasi
divins se gravent et se coulent en eux : et qu'ainsi ces mêmes (puissances)
démoniaques peuvent être plus aisément attrapées et plus
heureusement retenues (à leur service).
Le rapport du quatrain avec ce passage est si étroit qu'il
autorise la correction de « de faict Gotique » au premier vers
en « de faict Gnostique »; « d'Amant » paraît le vestige d'«
Adamant » : Origène était surnommé l'homme d'acier; « Pselyn »
est mis pour « Psellus »; les deux « d » des diverses lectures,
à la suite de « les or » ou « les os », suggèrent la correction
« les ords », c'est-à-dire « les immondes ». Paraphrase : le dix
des calendes d'avril (le 23 mars), anniversaire de la mort du
Christ, de mauvaises gens ressusciteront une vieille pratique
gnostique : toutes lumières éteintes se tiendra une assemblée
diabolique, cherchant les saletés décrites par Adamantius et
Psellus.
Cela dit, le quatrain est une allusion à la religion réformée.
Régnier, sieur de La Planche, brosse ce sombre tableau de la
persécution des calvinistes à Paris à la fin de 1559 :
Les rues aussi estoyent si pleines de charettes chargées de
meubles qu'on ne pouvoit passer, les maisons estant abandonnées
comme au pillage et sacca-gement, en sorte qu'on eust pensé
estre en une ville prise par droit de guerre, si que les pauvres
devenoyent riches, et les riches pauvres. Car avec les sergens
altérez se mesloyent un tas de garnemens qui ravageoyent le
reste des sergens, comme glaneurs. Mais ce qui estoit le plus à
déplorer, c'estoit de voir les pauvres petits enfans qui
demeuroyent sur le carreau, crians à la faim avec gémissemens
incroyables, et alloyent par les rues mendians, sans qu'aucun
osast les retirer, si non qu'il voulust tomber au mesme danger :
aussi en faisoit-on moins de compte que de chiens, tant ceste
doctrine estoit odieuse aux Parisiens : pour lesquels davantage
aigrir et acharner, il y avoit gens par tous les coins de rues (je
ne say de qui envoyez) et ressemblans à pauvres prestres ou
moynes crottez, qui disoyent à ce pauvre peuple crédule, que ces
hérétiques s'assembloyent pour manger les petits enfans, et pour
paillarder de nuict à chandelles esteintes, après avoir mangé le
cochon au lieu d'un agneau paschal, et commis ensemble une
infinité d'incestes et ordures infâmes : ce qui estoit receu
comme oracle. Bref, ce spectacle dura long-temps, en sorte que
ces manières de gens avoyent fait comme habitude ordinaire
d'aller de jour et de nuict saccager maisons, au sceu du
parlement, lequel cependant fermoit les yeux.
La clameur de ces affligez parvenue à la cour, la royne mère
envoya savoir que c'estoit, à laquelle on renvoya certains
escrits en rime françoise, trouvez chez le Visconte, faisant
mention de la mort advenue au roy Henry par le juste jugement
de Dieu, esquels aussi ladite dame estoit taxée de trop déférer
au cardinal. Et afin que tout le corps de ceux de la religion
fust trouvé coulpable et non quelque particulier, et qu'on
rendist leur doctrine tant plus odieuse envers icelle dame, on
adjousta d'abondant certaines informations faites et dressées
par l'industrie du président Sainct-André et Démocharès, sous
la déposition de ces deux jeunes enfans, dont il a esté cy-dessus
fait mention, qu'ils tenoyent sous leurs aisles : contenant
entre autres choses, qu'en la place Maubert, en la maison d'un
advocat nommé Trouillas, s'estoyent faites plusieurs assembles
de luthériens : entre lesquelles, le jeudi devant Pasques, (qu'on
appelle absolut) y en avoit esté faite une de grand nombre
d'hommes, femmes et filles, environ la minuict, là où après
avoir presché, fait leur sabath, mangé un cochon au lieu de
l'agneau paschal, et la lampe qui leur esclairoit esteinte,
chascun s'accoupla avec sa chacune... (On soupçonna Trouillas
d'avoir couché avec ses filles.)
Le cardinal (Charles de Lorraine), de sa part, ne laissa dormir
ses informations. Car ayant au poing le sac où elles estoyent,
et à sa queue les deux enfans, il alla trouver la royne mère, et
avec exclamations incroyables, luy deschiffre de point en point
le contenu d'icelles, n'oubliant rien pour rendre ceux de la
religion les plus maudites et abominables créatures, qui eussent
esté dès la création du monde. Mesme, afin de ne rien laisser en
arrière, elles furent par luy enrichies de toutes les pollutions
desquelles se souillèrent jadis les anciens hérétiques Psalliens,
Gnostiques, Euchytes, Messaliens, Borborites, Origénistes et
autres que Satan a autrefois suscitez pour obscurcir la lumière
de l'Evangile...
Brantôme rapporte l'histoire sans trop y ajouter foi
J'ay ouy conter (je ne sçay s'il est vray, aussi ne le veux-je
affirmer) qu'au commencement que les huguenots plantèrent leur
religion, faisoyent leurs pres-ches la nuict et en cachettes, de
peur d'estre surpris, recherchez et mis en peine, ainsi qu'ils
furent un jour en la rue de Sainct-Jacques à Paris, du temps du
roy Henry deuxiesme, où des grandes dames que je sçay, y allans
pour recevoir cette charité, y cuiderent estre surprises. Après
que le ministre avoit fait son presché, sur la fin leur
recommandoit la charité; et incontinent après on tuoit leurs
chandelles, et là un chacun et chacune l'exerçoit envers son
frère et sa sœur chrestien, se la départans l'un à l'autre selon
leur volonté et pouvoir : ce que je n'oserois bonnement assurer,
encor qu'on m'asseurast qu'il estoit vray; mais possible que
cela est pur mensonge et imposture.
Le quatrain de Nostradamus fut écrit quatre ou cinq ans avant
1559; il n'en exprime ou n'en exploite pas moins les mêmes
préjugés catholiques sur le compte des prêches calvinistes en
France. |
LIBER
VICESIMUS, CAPUT I.
De sibyllarum divinatione quae in Branchis ac
Delphis vaticinia redderent, ac ibidem nonnihil de prophetis
relatum ex doctrina Platonicorum.
Caelius Firmianus, Hieronymus et alii veteres permulta de
sibyllis earumque divinatione scripserunt. Quod etsi alias
diligenter observavi, libitum tamen est ea hoc loco repetere
quae in Academicorum commentariis legimus, quo pacto quibusque
rationibus et in Delphis atque in Branchis eiusmodi vates deum
se concipere crederent. Nam prophetae ipsi et vates, ut
erudite a Platone et Iamblico scribitur, per deos quidem aut
daemones vaticinandi spiritum capiunt; quo rerum causas
cernunt et futura etiam praevident. Nihil enim sine diis
perficitur, quorum tanta est potestas et bonitas in subiecta,
ut dum in seipsis permanent, ad alia tamen subdita pro rerum
genio et similitudine calor ille et potestas accedit, velut et
solis radiis accidit, sicubi in alia corpora atque elementa
influunt.
Neque autem possunt homines suopte ingenio quiequam de diis
cognosse, nisi vis quaedam ab illis et quasi ignis incidat,
quo inspirante humana simul et divina censeantur. Quod a
Porphyrio et universa Academia copiose asseritur. Opera enim
divina, quae penitus absoluta sunt, dii quidem perficiunt,
media angeli, tertia daemones. Verum sic de fatidicis
chalcidensis Iamblichus ad Porphyrium: «Sibylla — inquit — in
Delphis duplici ratione suscipere solita est, aut enim per
tenuem spiritum et ignem,
qui alicubi ex ore quodam antri prorumpebat, aut ipsa etiam in
adyto sedens super aeneam sellam, quae tripes
vel quadrupes foret numinique dicata, et utrobique divino illo
spiritu acta vaticinia fundebat.
Itaque tum plurimus ignis ex antro evolans vati undique
circumfunditur, eamque suo numine repletam agitat, aut item
sacratae sedi adhaeret, per quam deo afflata, protinus ad
vaticinia erumpit. Sed et vates fatidica in
Branchis quae in axe considit, aut virgam
manu gestat a numine aliquo sibi concessam, aut
pedes interdum limbumque undis
proluit, vel ignis vaporem ex undis haurit, simulque his
rationibus divino splendore completur, deoque
plena, ut dicunt, rerum pandit oracula ». Quin et prophetae
ipsi ac caeteri vates, ut inquit Iamblichus, cum dei numine
afflantur, nihil timent, nihil verentur.
Nam et per invia incedunt, perque ignem intacti feruntur et
flumina transeunt. Quod etiam fieri scribit a sacerdotibus in
Cathaballis. Quibus manifesto apparet, vates ipsos omnem
prorsus humanitatem exuere, cum divinum ignem et spiritum
hauriunt, quo agitati magis extimulantur, ut a poeta Vergilio
prudenter traditum est de Cumana Deiphobe. Scripsimus alias de
sibyllarum numero et aetate ex Varrone, Augustino, Firmiano,
Capella et aliis, cum Varro Terentius a quibusdam temere in
hoc accusetur.
|
C1, Q1
Seated, he studies secretly at night
On tripod bronze, the quiet eremite:
A tiny flame amidst the lonely night
Bids fair to bring what none should doubt to light.
Original in French
ESTANT assis de nuit secret estude,
Seul repousé sus la selle d'aerain,
Flambe exigue sortant de solitude,
Fait prosperer qui n'est à croire vain.
C1, Q2
With rod in hand set in the midst of
Branchus,
with the water he wets both limb and foot:
Fearful, voice trembling through his sleeves:
Divine splendor. The divine seats himself near by.
Original in French
La verge en main mise au milieu de
BRANCHES
De l'onde il moulle & le limbe & le pied.
Un peur & voix fremissent par les manches,
Splendeur divine. Le divin près s'assied.
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LIBER
VICESIMUS QUINTUS, ADMONITIO OPERIS AD LEGENTES.
Absoluta sunt ad hunc diem volumina XXV de Honesta Disciplina,
in quibus plurimum diligentiae ac laboris posui, quo magis
prodessem ceteris et meo nomini consulerem in tanta studiorum
varietate. Et erunt haec velut subsidia quaedam, quibus
memoria reddi instructior possit atque locupletior in his
omnibus, quae ad usum vivendi eruditionemque antiquitatis
pertinere videantur. Neque posthac defuturi sumus incepto
operi iuvandi bonorum ingenia, quoniam semel huic militiae
nomen dedimus, nec e licet a signis decedere aut aciem
refugere. Edentur paulo mox libri complures, quos
inscripsimus Epistolicarum responsionum. Nam docendo,
vigilando et scribendo magis cupio fatigari, quam malo otio
atque voluptatibus — ut plerique faciunt — animum depravare;
in ea praesertim civitate, in qua ambitio pro virtute, pro
modestia improbitas, eruditio pro desidia habetur. Satis aurem
mihi futurum est, si consenescere in hoc nostro otio licuerit,
atque vitae reliquum disponere, ut omnes facile intelligant
nullo modo me defuisse praeclaro instituto bonarum
disciplinarum, quod ab ineunte aetate suscepi. Et quoniam
decet agentem negotium posteritatis potius bonis advigilare,
quam multis; ea potissimum ratio me monuit, ut me ipsum
probarem liberalibus studiis, quam ut infami ambitu, pravisque
artibus laudem nominis atque gloriam quaererem. In his vero
commentariis legem hanc volumus esse adscriptam e sacris
eleusinis, quae plebis inertiam profanumque vulgus longe
arceat, quoniam paulo ante experti sumus, nihil magis obesse
probis ingeniis atque optimis institutis quam rudem
imperitorum audaciam, quae nullo quidem iudicio aut ratione,
sed inscitia atque libidine, omnia expendit. Quod sicubi de
veterum diis ac religione, ut fit, disserui, hoc ipsum
propterea factum a nobis, ut litteris humanioribus
consuleremus. Neque renovare quicquam volumus, aut eam
superstitionem probare, ut quidam temere obloquuntur, quam non
modo reieci ut vanam et improbam, sed ut nefariam
flagitiosamque locis multis coargui.
Legis cautio contra ineptos
criticos:
Quoi legent hosce libros mature
censunto,
Profanum volgus et inscium ne attrectato;
Omneisque legulei, blenni,
barbari procul sunto.
Qui aliter faxit, is rite sacer esto.
Illud in calce operis addimus, Petrum Crinitum in his
commentariis nihil omnino approbare, nisi quod a Romana tantum
ecclesia decretum atque assertum fuerit; ne quis maiore
audacia quam iudicio ad maledicendum atque obtrectandum
rapiatur.
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C6,Q100
INCANTATION OF THE LAW
AGAINST INEPT CRITICS
Let those who read this verse consider it profoundly,
Let the profane and the ignorant herd keep away:
And far away all Astrologers, Idiots and Barbarians,
May he who does otherwise be subject to the sacred rite.
Original in Latin
LEGIS CANTIO
CONTRA INEPTOS CRITICOS
Quos legent hosce versus maturè
censunto,
Profanum vulgus, & inscium ne attrestato.
Omnesque Astrologi Blenni, Barbari
procul sunto,
Qui aliter facit, is rite sacer esto.
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